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Una rivolta improvvisa, con i detenuti che afferrano le guardie di servizio nei corridoi, le picchiano e le legano mentre altri mettono a soqquadro celle e refettorio e afferrano tutte le armi che riescono a trovare. Non solo pistole e qualche fucile, ma coltelli e machete, vanghe e bastoni di ferro. Per 17 ore il penitenziario di Anísio Jobim (Compaj), a 8 chilometri dalla strada nazionale 174 che conduce a Manaus, nel cuore dell'Amazzonia, è stato teatro di una sanguinosa sommossa organizzata da un centinaio di detenuti. Tra 50 e 60 i morti, secondo il bilancio fornito dal segretario alla Sicurezza pubblica dell'Amazzonia, Sergio Fontes, citato da "O Globo". Alcune delle vittime sono state decapitate o bruciate vive.

Una folla di parenti dei detenuti è accorsa sul posto dopo che sono iniziate a circolare notizie terrificanti. Una è stata confermata: sei corpi decapitati sono stati gettati all'esterno della prigione. Non sono stati ancora identificati. È molto probabile che si tratti di detenuti su cui si sono accaniti i rivoltosi in una macrabra vendetta tra membri di clan nemici che scontano la pena nello stesso istituto. Numerosi agenti della polizia penitenziario sono stati presi in ostaggio. Alcuni sono stati liberati nell'ambito della trattativa avviata con i capi della sommossa, gli altri quando questi ultimi si sono arresi. La polizia militare è arrivata in forze e ha blindato tutto il perimetro del carcere senza consentire a nessuno di entrare e uscire.

Una donna, che ha rifiutato di fornire il suo nome, ha detto di essere andata all'Istituto di medicina legale per avere informazioni su suo marito. Quando è scoppiata la rivolta si trovava per le visite periodiche all'interno del carcere. "Era pomeriggio tardi e con altri parenti stavamo incontrando i detenuti. Abbiamo sentito esplodere alcuni colpi di arma da fuoco che sono diventate raffiche. Poi sono iniziate le urla. Ci hanno fatto subito uscire. Non ho visto nulla. Sono andata all'Istituto di medicina legale per avere notizie più precise. Ci sono quei corpi senza testa buttati fuori dal carcere e ognuno di noi teme che possano appartenere ai nostri mariti, figli, fratelli. Purtroppo, nessuno dice niente e non si sa nulla di più preciso", spiega la donna.

Nella confusione seguita alla sommossa almeno 20 detenuti sono riusciti a fuggire; 15 sono stati catturati nei boschi circostanti dopo una ricerca con cani, elicotteri e una battuta di centinaia di poliziotti e soldati. Il penitenziario Anísio Jobim è considerato tra i più duri del Brasile e le condizioni di vita dei detenuti sono disumane. Nel merzo scorso c'erano state due evasioni attraverso un tunnel scavato nella sala docce. Ma la polizia militare, quella civile e i volontari ingaggiati per le ricerche li avevano rintracciati a due chilometri di distanza.