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Totò Riina può essere curato in carcere: queste le conclusioni cui sono giunti Rosy Bindi e Claudio Fava (rispettivamente presidente e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia) dopo il sopralluogo all’ospedale Maggiore di Parma e nella cella che ha accolto il boss di Cosa Nostra fino a gennaio 2016.

«Il principio stabilito dalla Cassazione, sul diritto per chiunque a una morte dignitosa, è fuori discussione: ma non c’entra affatto con Salvatore Riina e con le sue condizioni di detenzione». Queste le parole di Fava, che ha aggiunto: «È ospitato in una struttura sanitaria ad hoc nell’ospedale di Parma, riceve cure e attenzioni mediche 24 ore su 24, è lucido, in condizioni di salute precarie ma stabili, riceve visite dei familiari e dei suoi difensori e assiste a tutte le udienze dei processi che lo riguardano. Certamente è accudito e curato molto meglio di come avverrebbe in caso di arresti domiciliari».

D’accordo con lui Rosy Bindi, le cui dichiarazioni sono state perfettamente in linea con quelle di Fava: «Si trova in una condizione di cura e assistenza continue che, a dir poco, sono identiche, se non superiori, a quelle che potrebbe godere in status libertatis o in regime di arresti domiciliari – dice, facendo eco a Fava – e in cui gli è ampiamente assicurato il diritto, innanzitutto, ad una vita dignitosa e, dunque, a morire, quando ciò avverrà, altrettanto dignitosamente a meno che non si voglia postulare l’esistenza di un diritto a morire fuori dal carcere non riconosciuto dalle leggi».