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Salvo Mulé, considerato l'uomo forte a Ballarò fino al suo arresto avvenuto lo scorso dicembre, doveva essere messo "fuori famiglia" perché si era "montato la testa". L'ordine era stato impartito da Tommaso Lo Presti, reggente del mandamento di Porta Nuova, e doveva eseguirlo il suo successore designato, Paolo Calcagno. È quanto racconta Giuseppe Tantillo, pentito del Borgo Vecchio. Scrive "LiveSicilia":

"I primi di settembre del 2014 c'è stata una riunione a casa di un parente di Paolo Lo Iacono. Erano presenti Ruggeri, Mulé, Lo Iacono Paolo, Paolo Calcagno, Ludovico Scurato, Rocco Marsalone, un ragazzo con i capelli brizzolati, Salvo David, io e mio fratello Domenico". Sono stati tutti arrestati nel blitz dei carabinieri dello scorso dicembre. Si discusse di affari: “Mulé e Lo Iacono Paolo proposero di occuparsi loro del traffico di stupefacenti al posto di Alessandro Bronte così guadagnavano in più che avevano carcerati da mantenere. Calcagno rispose che non era possibile perché così aveva deciso Tommaso Lo Presti”. Mulè non la prese bene, visto che “disse che aveva un impegno e abbandonò la riunione”.

"Dopo due settimane Calcagno ci riferì che Mulè era stato chiamato dalla polizia che doveva essere ucciso". La verità è che soffiavano venti di guerra su Ballarò. La sera del 16 ottobre 2014, quindici minuti dopo le venti, giunse una telefonata al 113. La chiamata partiva da una cabina di via Armando Diaz, a Brancaccio. “… domani mattina devono ammazzare Salvo Mulè del Ballarò…”, diceva una voce maschile. Mulè, che sarebbe stato arrestato nel dicembre scorso, forte della parentela con Massimo Mulè, di cui è fratello e che presto sarebbe stato scarcerato, aveva creduto di gestire in autonomia lo spaccio a Ballarò.

La gestione Mulè-Bronte aveva creato malumori e inimicizie. E così il primo rischiò di essere ammazzato, mentre il secondo fu pestato a sangue, nonostante fosse uno degli uomini più fidati di Teresa Marino, la moglie di Tommaso Lo Presti. La situazione era sfuggita di mano agli stessi capi.