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Esecuzione di massa per 55 persone. È quanto sta per accadere in Arabia Saudita. L'opinione pubblica non è universalmente informata, ma il caso è agghiacciante, pensando che siamo nel 2015. Ecco l'articolo integrale pubblicato da "Il Messaggero":
 

Un'esecuzione pubblica di massa. La sentenza di morte per oltre 50 persone detenute in Arabia Saudita con l'accusa di "terrorismo" potrebbe essere eseguita proprio in questi giorni.

Una decisione già presa, da quanto traspare dalle informazioni pubblicate sul quotidiano saudita Okaz, e denunciata pubblicamente da Amnesty International.

Una parte dei prigionieri, secondo quanto dichiarato dal governo e pubblicato sulla stampa saudita, sarebbero coinvolti negli attacchi terroristici di al-Qaeda nel corso dei quali avrebbero perso la vita più di 100 civili e 71 militari.

Ma il timore è che, tra i 52 condannati (55 o 56 a seconda delle diverse fonti) vi siano anche, in realtà, molti dimostranti provenienti dalla città di Awamiya, dove negli scorsi anni il governo Saudita ha effettuato numerosi arresti a seguito di manifestazioni anti-governative e a favore del riconoscimento di eguali diritti per la comunità sciita, fortemente rappresentata nella zona.

Tra questi vi sarebbe anche il giovanissimo Alì Mohammed Al-Nimr condannato nel 2012 proprio per aver preso parte a una di queste dimostrazioni pubbliche contro il governo. All'epoca il giovane aveva solo 17 anni. La sua vicenda personale ha in passato già interessato numerosi movimenti per la difesa dei diritti umani e civili e, da tempo, sui social vengono condivisi appelli con l'hashtag #FreeNimr. Il giovane, che secondo le pratiche saudite verrà prima decapitato e poi crocifisso in pubblicoi, non ha mai subito un regolare processo.

Con lui ci sarebbero altri quattro ragazzi che all'epoca dei fatti di cui sono accusati erano ancora minorenni. Nei giorni scorsi le loro madri hanno diffuso un appello in cui affermano che la loro esecuzione rappresenterebbe un evento «unico nella storia della giustizia saudita». «Le autorità saudite hanno sottoposto i nostri figli a numerose forme di ingiustizia» – si legge nella dichiarazione delle donne – «e li hanno arrestati in modo arbitrario sottoponendoli a torture e non garantendogli un processo equo».

Solo nel corso dell'ultimo anno in Arabia Saudita sarebbero state eseguite 151 condanne a morte, quasi il doppio delle 88 dell'anno precedente. Le accuse non sono sempre chiare e i processi spesso inesistenti. Molte Organizzazioni non governative hanno sottolineato un uso strumentale da parte del governo Saudita (prevalentemente in funzione anti sciita) dell'accusa di terrorismo. Lo scorso gennaio, Middle East Eye ha pubblicato uno studio da cui emerge che il codice penale saudita coincide in gran parte con quello imposto dal sedicente Stato islamico. Proprio come nel caso di Daesh, anche il codice penale dell'Arabia Saudita prevede la condanna a morte per blasfemia, omosessualità, tradimento e omicidio, la lapidazione per gli adulteri sposati, le frustate per quelli non sposati e il taglio degli arti per furti e rapine.

L'ultima volta in cui l'Arabia Saudita ha organizzato un'esecuzione pubblica di massa avvenne nel 1979 dopo che un gruppo di fondamentalisti islamici aveva attaccato la Grande Moschea alla Mecca. Una vicenda ancor oggi piena di lati oscuri e questioni mai del tutto chiarite.

E mentre la comunità intrnazionale di mobilità per il giovane Nimr, l'ombra del patibolo su di lui e i suoi amici – colpevoli solo di aver protestato contro il governo saudita – si allunga sempre di più.