C’è un momento, in Sicilia, in cui il caldo si scioglie in dolcezza. Quando il sole comincia a picchiare alto e l’afa si fa sentire, basta una cucchiaiata per ritrovare freschezza e piacere: è il potere della granita, un’icona della cultura gastronomica siciliana. Cremosa come un sorbetto ma più granulosa, è molto più di un dolce freddo. È un rito, un’abitudine, un simbolo d’identità che attraversa epoche e generazioni.
Servita con una brioche con il tuppo o con panna montata, gustata a colazione, come spuntino pomeridiano o come chiusura rinfrescante di una cena estiva, la granita rappresenta la quintessenza della sicilianità. E tra tutte le sue varianti, una spicca per la sua semplicità assoluta e per la celebre citazione che la accompagna.
La formula “uno, due, quattro” di Camilleri
A consacrare la granita di limone nella memoria collettiva è stato Andrea Camilleri, che ne ha fatto un piccolo culto letterario attraverso le parole del suo personaggio più amato, il Commissario Montalbano. Nel romanzo Il cane di terracotta, lo scrittore siciliano scrive:
“C’era la granita di limone che la cammarera gli preparava secondo la formula uno, due, quattro: un bicchiere di succo di limone, due di zucchero, quattro d’acqua. Da leccarsi le dita”.
Questa proporzione essenziale, tanto semplice quanto geniale, custodisce una delle ricette più autentiche della cultura dolciaria isolana. Ecco come realizzarla.
Ingredienti
- 1 bicchiere di succo di limone fresco
- 2 bicchieri di zucchero
- 4 bicchieri di acqua
Preparazione
- Iniziate sciogliendo completamente lo zucchero nell’acqua tiepida.
- Una volta ottenuto uno sciroppo limpido, aggiungete il succo di limone appena spremuto e mescolate.
- Versate il tutto in un contenitore basso e largo, da riporre nel freezer.
- Durante il processo di congelamento, rimestate ogni mezz’ora con una forchetta per rompere i cristalli di ghiaccio e ottenere la classica consistenza granulosa.
- Dopo circa 4 ore, la granita sarà pronta per essere gustata.
- Un suggerimento vintage? Servitela con pastigliette di zucchero alla violetta!
Alle origini della granita
La storia della granita affonda le sue radici nella dominazione araba in Sicilia. I conquistatori portarono con sé lo sherbet, bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta o acqua di rose. Una tradizione che si fuse con l’uso locale della neve, raccolta durante l’inverno sull’Etna, sui monti Iblei, Peloritani e Nebrodi, e custodita nelle neviere, grotte naturali o artificiali ricoperte in pietra.
Durante l’estate, quella neve veniva grattata e irrorata con sciroppi profumati, dando vita a una delle forme più antiche di granita. Da quel connubio di tecniche e culture nasce la granita come la conosciamo oggi: un prodotto di sintesi tra storia, territorio e clima, capace di evolversi senza mai snaturarsi.
Tutti i gusti della Sicilia
Oggi la varietà dei gusti è sterminata: limone, mandorla, caffè, gelsi, cioccolato, pistacchio, fragola, anguria, melone… Ogni provincia vanta una sua specialità. A Bronte, la granita al pistacchio si arricchisce dell’oro verde dell’Etna; a Messina, fiorisce la versione al gelsomino; nel siracusano, è la mandorla d’Avola a dominare il palato.

La granita siciliana si serve spesso con panna montata e granella di frutta secca, elevando l’esperienza sensoriale a un livello quasi mistico. Ma resta, sempre, l’anima popolare e quotidiana di questo dessert: semplice, diretto, autentico.
Colazione con granita e brioscia o con… pane!
In Sicilia, la colazione con granita e brioscia non è un’eccezione, ma la regola. Nei bar, sulle spiagge, a casa, la giornata estiva comincia così: una granita fresca e profumata, accanto a una brioche col tuppo. La si apre in due e la si farcisce, assaporando ogni boccone come fosse un invito alla lentezza. Si può anche mangiare con il pane.
Ma non è tutto. In molti bar, piccole dosi di granita vengono usate per insaporire tè freddo, acqua minerale o perfino birra. E il “mezzo freddo”, caffè freddo con granita di caffè, è una variante irrinunciabile nelle giornate più afose.
La granita non è solo cibo. È memoria, è cultura popolare, è identità locale. È il gusto dell’infanzia, il sollievo dalla calura, l’abbraccio dolce di una tradizione che continua a rinnovarsi. E quella semplice formula – uno, due, quattro – racconta tutto questo in una proporzione perfetta, capace di resistere al tempo e alle mode. Provare per credere. Foto: Depositphotos.com.
