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Esperienze di didattica a distanza… abusive.

Un bel dì vedremo quello che è successo e come abbiamo reagito a questo “incredibile” tsunami sociale che è il Corona virus.

Ho anche il timore di scriverlo e cerco di stare almeno ad un metro dallo schermo.

Sdrammatizziamo quello che invece è molto drammatizzato dai media e cerchiamo di reagire come possiamo. L’aspetto che mi preme analizzare è quello che riguarda la scuola. Da uomo di scuola anche io sono stato investito in pieno da questa onda anomala e dopo una pausa di un paio di giorni mi sono messo al lavoro per dare delle riposte. Ritengo che la pausa sia d’obbligo. Una problematica così inaspettata non va certamente affrontata di getto, d’impulso, ma dopo una attenta riflessione. Lo dico sempre ai miei ragazzi che la matematica (che insegno in una scuola secondaria di I grado) ci fornisce degli insegnamenti che ci aiutano a vivere. La risoluzione di un problema matematico ha una sua progressione che parte dall’analisi del testo, dalla estrapolazione dei dati e dalla scelta della strategia più “conveniente” che ci porti alla soluzione. Come nella vita. Mai agire di getto.

Quello che ho fatto in questo caso. Leggo. Ascolto. Le indicazioni che gli “operatori” della scuola riceviamo sono dicotomici. Il governo con in testa il Ministro parlano di una scuola che “deve” attivarsi per essere vicina ai ragazzi con qualsiasi mezzo tra quelli che la tecnologia mette a disposizione. Giusto. Io mi attivo mettendo ordine tra le mie conoscenze e abilità e, seguendo quello che è il mio modello di scuola, decido di adottare

  1. un sistema che abbia le caratteristiche di essere “diffuso”, “veloce” e “immediato” per una prima comunicazione con i ragazzi;
  2. una modalità snella per trasmettere ai ragazzi documenti, compiti, consegne, e nello stesso tempo ricevere elaborati;
  3. un modo per potere interagire in tempo reale con i ragazzi per creare un ambiente di apprendimento con qualche caratteristica assimilabile a quella quotidiana a cui siamo abituati.

Arrivare alla soddisfazione della prima esigenza è cosa semplice, direbbe chiunque. Il coro “popolare” griderebbe “WhatsApp” …e si capisce! È usata da tutti i ragazzi e se vuoi arrivare velocemente e senza esclusione di nessuno (ripeto e sottolineo “nessuno”) il sistema è quello! Neanche per sogno. La burocrazia entra in campo immediatamente. Come la mettiamo con la privacy? Ci abbiamo fatto le leggi, i regolamenti, le direttive e adesso diamo tutto in pasto di WatsApp? Spunta subito il tarlo dei dati sensibili e quindi? Non è giusto condividere numeri di telefono personali. Cade WhatsApp. I social network neanche a pensarli: l’età minima è 14 anni e in una scuola media o peggio ancora elementare… Ma.. scusate ci sono le piattaforme indicate anche dal Ministero! Anche in quel caso per iscriversi si richiede l’email… e l’email al di sotto dei 14 anni è illegale. Dimentichiamoci la tanto decantata Google Classroom. Quindi niente piattaforme. E poi anche a volere usare l’email di papà siamo sempre in conflitto con la diffusione di dati sensibili e poi la condivisione di una email personale per i compiti del figlio… va a complicare la vita dei genitori che devono lavorare e utilizzare la mail per altri scopi. A questo punto torniamo al punto di partenza tralasciando il punto “c” che avvicinerebbe al “diavolo” ogni soluzione.

Come si fa? O meglio “Cosa si fa?” La risposta è molto semplice. O si mette a posto la propria coscienza mitragliando i bambini e ragazzi con diecimila esercizi al giorno inviati tramite registro elettronico oppure ci trasformiamo tutti nel branco di “struzzi” (doppia zeta…) che siamo o, se volete, ci mettiamo un paio di cuffie molto care ai nostri ragazzi per isolarci da tutto e andiamo avanti. Funziona così. Conoscete un ragazzo della scuola secondaria di primo grado che non ha WhatsApp? Quanti ragazzi NON hanno il cellulare? E siccome sappiamo che per configurare il cellulare bisogna avere un account Google tutti i ragazzi hanno una email personale, anche se non lo sanno. I social? Sapete quanti ragazzi hanno Instagram? e Tik Tok? 

Io non biasimo affatto quei dirigenti che coerentemente con le leggi, con le norme e con le direttive si muovono con molta prudenza e si guardano bene dal consigliare piattaforme o social o messaggistiche varie, il vero problema sta a monte. La burocrazia deve essere al servizio della società e non il contrario! Chi fa i proclami e detta le leggi deve anche assumersi la responsabilità degli atti indicati con precise deroghe o indicazioni. C’è il problema della privacy del numero di telefono, della email o del cavolo a merenda? Si chiede una autorizzazione al genitore e finiamola lì. 

Io l’ho già finita. Qui. Ho deciso di essere un abusivo del sistema e di utilizzare (d’accordo con i genitori) il WhatsApp e di attivare lezioni a distanza con videoconferenza (sempre con il consenso dei genitori). E mi rammarico di non potere diffondere questo abusivismo ai colleghi. Mi sento a scuola, ho modulato un orario con i miei ragazzi. Un’ora al giorno per ogni classe mi tiene impegnato dalle 9.30 alle 12.30 dal lunedì al venerdì. Compiti e link via WhatsApp e via registro elettronico. Insegnando matematica la video conferenza mi consente di condividere lo schermo e scrivere sulla lavagna virtuale on line formule, disegni geometrici e, con la webcam, anche di vedere esercizi e compiti svolti dai ragazzi. La prossima settimana farò fare ai miei ragazzi dei test realizzati con “moduli” di Google. Mi sento moderatamente a scuola. E sono convinto di fare il mio dovere. Da abusivo.

Calogero La Vecchia