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Le acque di Marsala hanno custodito per secoli un mistero: quello della nave punica sul fondale marino. A rendere ancora più affascinante l’imbarcazione è stata la particolare sostanza, un misterioso mastice, utilizzato per incollarne il fasciame e la lega metallica utilizzata per i chiodi, che ha resistito all’azione del mare.

La nave è una liburna punica da combattimento ed è stata individuata nel 1979 nel mare dello Stagnone, dall’archeologa subacquea Honor Frost, capo di una missione scientifica inglese. L’imbarcazione è stata affondata nella battaglia navale ingaggiata contro la flotta romana, comandata da Caio Lutezio Catulo, nel 242 a.C. (la “battaglia delle Egadi”).

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Non si tratta di una semplice nave, ma di un prodigio di ingegneria navale. Le dimensioni sono considerevoli: con un peso di oltre 120 tonnellate, misurava più di 35 metri, con una larghezza di poco meno di cinque metri. Un vero e proprio gigante del mare.

Per quanto riguarda la costruzione, si tratta di una tecnica che non ha nulla da invidiare a quelle più recenti. Le singole parti sono state assemblate come si fa oggi nella costruzione di grandi navi militari. La marina cartaginese poteva mettere in mare, contemporaneamente, molte unità.

Una delle parti “prefabbricate” è la chiglia, cioè quella a diretto contatto con l’acqua. Era cementata al resto dello scafo da una colla in grado di resistere alla forza corrosiva del mare. Il mastice ha una composizione chimica sconosciuta e i vari studi non hanno dato alcun esito. Ancora, anche i chiodi celano un mistero, perché né il tempo né la salsedine li hanno corrosi. Sono fatti in una lega misteriosa, inspiegabile.

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