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Tutto è cominciato intorno al 2011… fino a quel momento avevamo vissuto una vita tutto sommato tranquilla, in un Paese che offriva lavoro, opportunità e benessere. Eravamo in un Paese dove si viveva bene, un Paese annoverato tra i più avanzati del mondo, e consideravamo il nostro stato di benessere come un dato assodato, dovuto, come qualcosa di assolutamente normale. Ci siamo trovati un lavoro, come tutti, ci siamo sposati, come tutti alla fine, e abbiamo fatto figli, senza avere nemmeno un lontano sentore che un giorno tutto questo sarebbe cambiato così drammaticamente.

 

All'improvviso, infatti, i giornali, i notiziari, i programmi di approfondimento hanno cominciato ad informarci che il nostro Paese era in CRISI, in recessione, e che ci aspettavano tempi duri, anzi, durissimi! Ci hanno anche informato che la crisi c'era già dal 2008/2009, ma misteriosamente non se ne era mai parlato prima. Noi non capivamo. Non ci rendevamo conto di cosa stesse accadendo, le cose andavano bene, ma dov'è questa CRISI, da cosa era stata provocata? Il governo ha quindi cominciato a parlare di sacrifici, di "lacrime e sangue", di austerità, naturalmente riferita a noi cittadini e non certo alla casta, che continua imperterrita a gozzovigliare allegramente come se nulla fosse, nemmeno sfiorata dal dramma che viviamo noi cittadini ogni giorno. Il governo del "Professore", immediatamente approntato per far fronte a questa misteriosa CRISI, ha subito varato riforme per strangolare e dissanguare i più deboli (tra cui aumento dell'IVA e riforma delle pensioni), riassunte nel cosiddetto decreto Salva Italia, che, ironicamente, l'ha invece affossata e spinta nel baratro, nel quale sta ancora precipitando.

 

Era l'inizio della fine.

 

Noi cittadini ci siamo resi conto che la situazione era seria, e abbiamo cominciato e non fare più acquisti e a spendere come prima, per timore della CRISI, ed ecco che i negozi, le aziende, le fabbriche, le imprese, una dietro l'altra hanno cominciato a fallire e quindi a chiudere. Centinaia di migliaia di persone si sono trovate disoccupate da un giorno all'altro, senza nemmeno capire il perchè. (Oltre 1.800.000 posti di lavoro persi dal 2008 al 2014, oltre 116.000 aziende chiuse –  La regione più colpita dal disastro? Ovviamente la Sicilia.) (Fonte : IlSole24ore)

 

I più fortunati sono riusciti a trovare un altro impiego, mentre la categoria degli over 50 è stata probabilmente la più colpita dall'immane disastro, e non è mai più riuscita a risollevarsi. Molti hanno perso la casa, i risparmi, tutto ciò che erano riusciti a conquistare nella loro vita. Molti si sono suicidati, incapaci di accettare la nuova realtà, disperati perchè sentivano di avere fallito e di avere sprecato la propria vita.

 

La generazione dei ventenni/trentenni si è trovata all'improvviso nell'impossibilità di cominciare una vita lavorativa normale, di formare una famiglia, e i nostri giovani, i nostri figli hanno cominciato ad emigrare, come si faceva all'inizio del secolo. Quelli che sono rimasti passano, se lo trovano, da un lavoro sottopagato ad un'altro, con paghe vergognose da terzo mondo, sfruttati e trattati come schiavi, pagati con voucher o in contanti, senza l'ombra di un contratto e quindi della speranza di avere un giorno una pensione. Questa è la nostra realtà oggi, è un dato di fatto.

 

Ed ecco com'è comparsa la nuova categoria sociale, inesistente in Italia fino ad adesso : I NUOVI POVERI.

 

I nuovi poveri sono tutti coloro che non sono nati poveri; sono coloro che facevano parte della cosiddetta classe media, oggi quasi scomparsa, sono figli di impiegati o insegnanti o commercianti, sono persone con una buona cultura ed educazione, che hanno studiato, sono colti, abitavano in zone residenziali, avevano un buon lavoro e un buon tenore di vita. Oggi invece sono diventati poveri; vivono in periferia, guidano macchine vecchie (se hanno la fortuna di averne una), comprano i vestiti dai cinesi o al mercatino, non viaggiano più, non vanno più a mangiare una pizza con gli amici, hanno tagliato tutte le spese, incluse quelle sanitarie. Il nuovo povero non si riconosce subito; infatti, nei primi due o tre anni riesce a conservare l'aspetto di una persona benestante, continuando ad usare tutti quegli oggetti che possedeva quando guadagnava uno stipendio degno di tal nome, ma, quando le scarpe e le borse diventano vecchie e i vestiti lisi, ecco che cambia il suo aspetto e la sua povertà diventa visibile a tutti.

 

Questa categoria di persone si trova in una zona indefinita, come in un limbo, e non viene riconosciuta come simile dalle altre categorie sociali. Coloro che sono ancora benestanti, e hanno un amico o amica caduta in disgrazia, tendono solitamente ad allontarsene fino a escluderla del tutto dalla loro vita; semplicemente, fanno finta di non vedere, di non sapere, di non capire. E' più facile così.  Forse in fondo provano anche un sottile senso di colpa nel farlo, ma la verità è che si trovano a disagio con loro, non vogliono vedere le loro difficoltà e i loro stenti, preferiscono cancellarli e continuare la loro vita pensando soltanto a se stessi. La stragrande maggioranza dei nuovi poveri si è trovata in questa situazione, ma è proprio in questi momenti che si riconoscono i veri amici, coloro che non solo non si allontanano e non ti abbandonano, ma anzi fanno di tutto per aiutarti.  Il vero amico si riconosce nel momento del bisogno… Quanta saggezza nei proverbi popolari.

 

L'altra categoria sociale, i nati poveri, quelli che hanno sempre vissuto in condizioni di povertà o comunque disagiate, e limitate possibilità economiche, guarda ai nuovi poveri con un misto di diffidenza e superiorità. Nemmeno loro li riconoscono come simili. Vedono la differenza nel loro modo di parlare e il loro linguaggio, nelle maniere e il modo di vestire. Capiscono che non  appartengono al loro mondo, e quindi non si fidano. In alcuni casi, dopo l'iniziale diffidenza, i nati poveri accettano i nuovi come loro simili, e magari cominciano pure a solidalizzare con loro; in altri, si mostrano ostili o aggressivi, e si divertono ad intimorirli. Quasi sempre quindi, e da tutte le categorie sociali, il nuovo povero sarà considerato come un estraneo, un outsider, e trattato come un emarginato, un paria.

 

Come si sentono i nuovi poveri? Alcuni quasi si vergognano, anche se non ne hanno motivo. Altri provano rabbia, altri si rassegnano, alcuni cadono in depressione, altri si adattano e trovano un loro equilibrio nel diverso modo di vivere che adesso è diventata la loro realtà. Dobbiamo prendere coscienza e accettare il fatto che la nostra vita è cambiata per sempre, e non tornerà più com'era prima, o almeno non per molti anni ancora. E non dovremmo mai etichettare le persone a seconda della loro condizione economica, o del lavoro che fanno, ma solidarizzare con chi è stato meno fortunato di noi, quasi sempre non per sua colpa. In fondo, data l'incertezza e la precarietà di quasi tutte le situazioni lavorative di oggi in questa società malata, domani questa sorte potrebbe toccare a noi.

Lorella Caruso