Siciliani

Salvatore Giuliano, il bandito del mistero: chi era e qual è la sua storia

Chi era Salvatore Giuliano? Quella del bandito Giuliano è una figura siciliana ancora avvolta dal mistero e dibattutissima. Dove è nato, qual è la sua storia e quali sono gli enigmi intorno alla sua figura: scopriamo di più.

Biografia di Salvatore Giuliano

Si dibatte ancora molto sulla figura e sul ruolo di Giuliano. Per alcuni fu un Robin Hood dei contadini, per altri un alfiere dell’indipendenza siciliana. Per altri ancora, un sanguinario al soldo di mafia e servizi segreti. Bisogna andare indietro, fino al novembre del 1922, per fare iniziare questa storia. Quello, infatti, fu il suo anno di nascita.

Salvatore Giuliano nasce a Montelepre (Palermo), il 22 settembre del 1922, da Salvatore e Maria Lombardo. Proprio in quell’anno la sua famiglia è rientrata dall’emigrazione negli Stati Uniti. Il padre, per 18 anni, ha svolto umili mestieri, mettendo da parte il denaro necessario per comprare in Sicilia alcuni appezzamenti di terreno.

Leggi anche

Politica indipendentista di Sicilia: dagli schiavi di Euno al Movimento per l’Indipendenza della Sicilia

Colui che passerà alla storia come il bandito Giuliano cresce in una famiglia contadina, in condizioni di relativo benessere. Frequenta la scuola fino alla terza elementare, quindi affianca il padre nel lavoro nei campi, da quando ha 11 anni. Alla fine degli anni Trenta viene assunto dalla Società generale elettrica siciliana. Nella primavera del 1941, attratto da più sostanziosi guadagni, si dedica insieme al fratello maggiore Giuseppe al mercato nero.

Il traffico clandestino del grano e della farina diventa sempre più redditizio ma, dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, espone anche a rischi sempre maggiori. Per contrastarlo, infatti, viene vietato il trasporto del grano da una provincia all’altra e si predispone la sorveglianza dei punti strategici lungo i confini delle province.

Leggi anche

Chi era Gaspare Pisciotta, biografia

La latitanza del bandito Giuliano

Arriviamo così al settembre del 1943. A Quarto Mulino di San Giuseppe Jato, mentre trasporta un carico di grano con un cavallo, Salvatore Giuliano si imbatte in una pattuglia di carabinieri e guardie campestri. Gli viene contestata l’infrazione alle nome annonarie, con conseguente confisca del carico. La reazione dà luogo a un duro confronto, che termina in un conflitto a fuoco.

Un carabiniere rimane ucciso dai colpi di rivoltella del Giuliano. Questo primo episodio, su cui  già esistono pareri e versioni discordanti, segno l’inizio della latitanza di Giuliano, che consuma il suo secondo delitto il 23 dicembre del 1943. Incappato in un rastrellamento nella zona di Montelepre, uccide a colpi di mitra un altro carabiniere.

All’inizio del 1944 il bandito Giuliano matura la decisione di costituire una sua banda armata. Con questa, il 30 gennaio, fa evadere alcuni amici e parenti rinchiusi nel carcere mandamentale di Monreale. In questa fase compie rapine e sequestri di persona. Sfugge alla legge e mantiene una certa libertà di movimento nelle sue zone d’origine.

L’adesione al movimento separatista siciliano

Nel frattempo, in Sicilia, è molto attivo il movimento separatista. I capi del movimento vedono in Salvatore Giuliano una figura utile alla loro causa. Agli inizi del 1945, dunque, viene avviata una campagna di reclutamento dell’Esercito volontario indipendentista siciliano (EVIS) e viene contattato il Giuliano.

Nella giornata del 15 maggio si tiene un incontro con alcuni esponenti separatisti: Giuliano dichiara la sua adesione alla causa indipendentista e si offre di agire in collegamento con l’EVIS. A ottobre, nel corso di un nuovo incontro al ponte Sagana, a metà strada tra Montelepre e San Giuseppe Jato, l’accordo viene perfezionato.

Il bandito Giuliano ottiene i galloni di colonnello dell’EVIS e la promessa di finanziamenti per rafforzare la sua banda. Espone i suoi piani per promuovere azioni di guerriglia nelle zone di Montelepre, Borgetto e Partinico. Nel volgere di poche settimane i suoi uomini, inalberando il vessillo separatista, scatenano la loro offensiva.

Tra il 29 dicembre del 1945 e l’11 febbraio del 1946 assaltano cinque caserme dei carabinieri e ingaggiano cruenti scontri, che provocano numerose vittime tra le forze dell’ordine. Secondo le fonti storiche, Giuliano esercita anche una ingerenza politica nelle zone controllate dalla sua banda. Orienta il voto a favore dei candidati separatisti nelle elezioni per l’Assemblea Costituente e della monarchia al referendum istituzionale.

Allo stesso tempo, gode della compiacente copertura della mafia e delle forze che hanno individuato nel separatismo lo strumento per mantenere in vita il vecchio sistema agrario. Quando tali forze, preso atto del venir meno della prospettiva separatista, affidano la tutela dei loro interessi a nuovi referenti politici, la posizione di Salvatore Giuliano diventa più difficile.

Il banditismo infatti, diventa un fattore di disturbo del processo di normalizzazione che avrebbe dovuto garantire il perpetuarsi degli antichi equilibri di potere nel nuovo quadro istituzionale e politico nazionale.

L’eccidio di Portella della Ginestra

Arriviamo così a quello che viene considerato il fatto più controverso nella vita di Salvatore Giuliano: l’eccidio di Portella della Ginestra. Il 1° maggio del 1947 viene compiuto un massacro, che uccide 11 civili. Le cronache riportano che gli uomini di Giuliano, appostati sulle alture circostanti, fanno fuoco sulla folla, riunita per celebrare la festa del lavoro. Oltre ai morti, ci sono 60 feriti.

Sebbene la ricerca dei mandanti non è mai approdata a conclusioni certe, i più sono concordi nell’evidenziare responsabilità degli ambienti politici siciliani, interessati a intimidire le masse contadine, che reclamavano la terra e avevano premiato il Blocco del Popolo nelle elezioni del 20 aprile del 1947.

A rafforzare le ipotesi di collusioni e compromissioni di questi ambienti con il banditismo è l’evolversi degli avvenimenti che portano alla fine di Salvatore Giuliano.

La fine di Salvatore Giuliano

Consapevole di essere divenuto ormai scomodo a tanti che lo avevano sostenuto, Giuliano comincia a fare una serie di allusioni sui rapporti da lui intrattenuti con noti esponenti politici. In una lettera inviata i 2 ottobre del 1948 a L’Unità, parla di accordi che gli avrebbero garantito l’espatrio e l’impunità, chiamando in causa il ministro degli Interni di allora, Scelba.

Allo stesso tempo, alza il livello della sfida sul piano militare. Scatena una nuova offensiva, culminata nell’eccidio di Bellolampo: viene attaccato un autocarro dei carabinieri e il bilancio è di 7 morti e 10 feriti. Si intensifica l’impegno delle forze dell’ordine nei confronti del banditismo ed iniziano le defezioni tra i seguaci del bandito Giuliano e quelli che avevano praticato il doppio gioco.

Tanti gli voltano le spalle, poiché ritengono che ormai abbia perso la sua partita. Così si arriva alla cattura di Salvatore Giuliano. Il colonnello dei carabinieri Luca appronta un meticoloso piano che, nella fase finale, punta sul tradimento dell’uomo più vicino al bandito siciliano: il suo luogotenente, Gaspare Pisciotta.

Questi lo raggiunge nel suo rifugio di Castelvetrano e, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1950, lo uccide nel sonno con due colpi di pistola sparati a bruciapelo. Per spiegare come è morto il bandito Giuliano, la prima versione ufficiale parla di conflitto a fuoco. Le modalità reali emergono solo dopo. La vita di Salvatore Giuliano diventa un film di Francesco Rosi nel 1961. Il programma Passato e Presente di Rai3 ha dedicato alla storia una puntata, disponibile su RaiPlay.

Redazione