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di Nando Cimino

Che a carnevale ci si possa concedere una qualche innocente trasgressione e cosa del tutto logica e normale, d’altronde il vecchio detto latino recitava: “Semel in anno licet insanire”. Ma che  in Sicilia a trasgredire fossero soprattutto i preti, o meglio i chierici, come allora venivan chiamati monici e parrini , è cosa che potrebbe lasciar sbigottiti in tanti.  Praticamente non vi era città di Sicilia grande o piccola, in cui gli esponenti del clero giovani e non, a carnevale e a quanto pare non solo a carnevale, fossero soliti abbandonarsi a sfrenate indecenze; poco consone all’abito indossato. Ecco cosa si legge testualmente a pag. 15 del libro di G. Pitrè  “Usi e costumi del popolo siciliano” in cui si riferisce di precedenti scritti, su fatti realmente accaduti tra il XVI ed il XVII secolo, che vedevano protagonisti proprio i “bravi” preti siciliani che …..

“….. se la sbirbano mascherati facendo, dicendo e rappresentando le più sciocche scurrilità di questo mondo *. Ma già non dee far meraviglia tanta licenza in un tempo in cui non v’è bruttura che i chierici non si permettessero, compresa quella di recitare in teatro, di assistere a commedie oscene, di far notturni e serenate d’amore, di prender parte a poco onesti ritrovi, di tener bische, di operar ricatti ed altre simili infamie ”……

Forse chissà, coniato proprio per l’occasione, dopo aver letto ciò mi pare  quanto mai saggio ed appropriato l’antico proverbio siciliano che così recita:

                                “ Monici e parrini sentici a missa e stocchici i rrini

Fiat !