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No, non c’è un errore di trascrizione,”cattiva” in siciliano non è il contrario di “buona” come la lingua italiana suggerirebbe , ma ha un significato assolutamente differente, significa “vedova”. Per capirci un po’ di più, bisogna scomodare il latino ed adeguarlo alle vecchie usanze siciliane. 

“ Captiva” in latino significa “ reclusa”, “carcerata”, significato che si addice perfettamente alla situazione in cui si veniva a trovare una vedova nella civiltà post feudale siciliana e, specie nei piccoli centri, anche fino a non più di una settantina di anni fa.
Una donna  che perdeva il marito, infatti, era costretta a cambiare tutta la sua vita , e per sempre.

 Il più delle volte tornava a vivere in casa dei genitori, portandosi dietro l’eventuale prole e dedicando la sua vita a crescere i figli, assistere e servire gli altri familiari, lavorare e pregare, uscendo al massimo solo per andare in Chiesa la Domenica.

In altri casi , la “cattiva” viveva miseramente da sola o con i figli  cercando di sopperire alla mancanza di un marito che mantenesse la famiglia, facendo i lavori più umili e precari: fare pulizie, trasportare l’acqua dalla fontanella alle case dei benestanti,vendere i prodotti spontanei dei campi come finucchieddra, chiapparina, carduna, cacuccioliddri spinusi ecc (finocchi selvatici, capperi,cardi, carciofini selvatici), e   Spesso, anche chiedere l’elemosina.

 La condizione di “cattiva” veniva abbondantemente sottolineata dall’abbigliamento che la vedova avrebbe indossato per tutta la vita. Un vestito nero con lunga gonna e “ghippuni”( corsetto) rigorosamente a maniche lunghe, su cui le più abbienti facevano luccicare una catenina d’oro o d’argento con un ciondolo che conteneva  la foto “di la bon’arma”(della buonanima), un ”fazzulettu di  testa” di cotone bianco operato ( generalmente le madri aggiungevano questi foulard al corredo delle figlie) legato dietro la nuca in modo da coprire quasi tutta la fronte, su di questo un altro foulard sempre di cotone o, nell’inverno, di lana, “niguru”(nero), stavolta legato sotto il mento, sul tutto, la” mantillina”(mantella) nera di panno bordata di velluto, che avvolgeva la  donna dalla testa ai piedi o “ lu sciallu” nero anch’esso con lunghe frange che svolgeva la stessa funzione. Una “cattiva” morigerata, quando era costretta ad uscire, aveva cura di tenere questi indumenti ben stretti al collo,in modo da lasciare scoperta solo una piccolissima parte del viso. Insomma una specie di “burka” nostrano.
Questo per evitare che la gente potesse pensare di lei che “ la cattiva chiangi lu mortu  e pensa a lu vivu” come recitava un vecchio proverbio maldicente.

Naturalmente questa prassi era più rigida nei piccoli centri  e nelle fasce sociali più basse, ma anche in città e negli ambienti “bene” la vedovanza era considerata uno degli handicap peggiori per la donna: la “cattiva” nobile o cittadina, magari sostituiva i vari “fazzuletta di testa” con un cappellino munito di pesante veletta nera, o con un lungo e spesso  velo nero  in georgette, ma il vestito, le calze, i guanti neri se li sarebbe tenuti anche lei per tutta la vita. Le vedove ricche si facevano fare anche dei gioielli guarniti da caste pietrine nere.

 Se in paese   la loro vita si divideva tra lavoro , casa e Chiesa, in città la “cattiva” di ceto elevato poteva permettersi anche qualche passeggiatina, ma in luoghi poco frequentati, isolati.

A Palermo, per esempio, esiste ancora la “ Passeggiata delle cattive” , un vialetto/terrazza un po’ sopraelevato rispetto alla strada dove i palermitani andavano a passeggiare, e che era riservato appunto alle vedove.
Dopo la seconda guerra mondiale queste usanze andarono pian piano mitigandosi sotto la spinta di eventi quali lo sbarco degli americani  e l’arrivo massiccio dei “pacchi di l’America” (pacchi-dono contenenti abbigliamento usato, medicine, scatolame, inviati dagli emigrati in USA ai loro parenti) , comunque il vestito nero e castigato,  le  calze nere coprenti , i guanti e un velo o un foulard nero in testa  continuarono ancora per parecchi decenni ad essere la divisa delle vedove siciliane

Foto: Palermo – Mura delle cattive e Plazzo Butera di Blues Man Giuseppe