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La radice del mare increspata di sera, una veranda con le lenzuola stese fuori, la cena tardi, le processioni, la mezzanotte, il parrino,  la parentela dei parenti di quel parente, l’attesa, le scale, l’acqua, quello che provi quando non ci sei.  Le suggestioni di Sicilia sono un elenco infinito. Ma sono impressioni, piccoli ritratti di momenti personali? O sono tutte cose vere, rintracciabili anche per chi viene da fuori? In Sicilia alcuni giorni si vive come nei film di Montalbano, altri giorni, è un altro mondo che non c’entra niente. L’errore per chi viene da fuori appunto è quello di credere che sia sempre il film, nel bene e nel male. Che non ci siano distinzioni, evoluzioni, altre parentesi. La bellezza così com’è non esiste.

Non siamo tutti uguali. Non è vero che per forza abbiamo qualcosa di diverso dentro.  Questi sono miti, leggende che abbiamo messo sopra la cornice di quest’isola per continuare a proteggerci dal mondo che c’era fuori. Non è vero che la Sicilia ti mette un destino di riconoscibilità addosso, non è vero che non puoi andare altrove senza essere estraneo. Anche a chi viene qui piace pensare questa cosa. Che quello che succede In Sicilia rimane in Sicilia. Sono credenze, accessori di decoro con cui abbiamo condito la nostra immaginazione. La Sicilia è tutt’al più mistero. E il mistero è cosa diversa dalla credenza, dalla superstizione secondo cui saremmo in parte rimasti uguali da sempre a noi stessi.

Abbiamo la stessa rude quotidianità, a volte. La stessa ansia di non portare a termine una cosa importante. Ma sono senz’altro diverse le dimensioni, i posti entro cui sfoghiamo quest’amarezza o questa gioia.

In Sicilia ci sono paesi e paesi più grandi. Anche le città sono tanti paesi insieme, quartieri su quartieri in cui a qualcuno corrisponde qualcosa.  Nei bar ti chiamano ancora per nome, e ci sono sempre delle sedie fuori dove puoi stare anche senza  ordinare niente. È vero che ci sono le chiese, tra una casa e l’altra, un po’ nascoste. Si celebra anche di settimana e può capitare di vedere un gruppo di signore che vanno a messa di pomeriggio, a braccetto l’una con l’altra, vestite di nero anche se  il loro lutto risale a tanti anni fa.  Di domenica si formano delle  mini file di macchine posteggiate davanti a un qualche cancello. Sono i figli che mangiano insieme, dalla madre di solito. Questo  rito durerà gli anni giusti, non per sempre. Poi un litigio, uno screzio silenzioso o un malumore covato esploso in una scenata farà fallire per un po’ tutto. C’è d’estate, sempre , e dico sempre, una certa sagra di paese. L’oggetto della sagra è relativo. Può essere la sagra del ballo liscio come quella del pomodoro, poco importa. Ci sarà della musica forte in tutto il quartiere, e dell’odore quasi asfissiante  di zucchero filato in tutte le strade. Chi non è del posto si riconoscerà, perché guarderà  a quella festa con stupore. Il palchetto montato nella piazza, un presentatore un po’ impacciato con un microfono con cui comunque griderà come se non lo sentisse nessuno.  I fiori sul davanzale, le gradinate bianche davanti la scuola. La recita dei bambini davanti la parrocchia, le mamme che hanno cucito a uno a uno i vestitini. I cugini che tornano per le feste insieme, saranno giorni sereni di cui verranno scattate tante fotografie con una macchina di famiglia.

Questo è il film.

C’è anche il non film. Le persiane  chiuse di decine di case, spesso anziani.  Lo sciame di foglie e di cartocci vari davanti le villette al mare. L’inverno che ti ricorda che quando è inverno l’estate non esiste.  I capelli arruffati di vento, quel vociare insopportabile di ragazzine con la matita nera ben ricalcata sugli occhi che parlano il siciliano più brutto, quello volgare. Il pettegolezzo davanti al bar in cui ti sei seduto senza ordinare niente. C’entrano sempre le coppie,  lui l’ha tradita con l’altra, però anche lei ha le sue responsabilità, perché stava sempre fuori casa.  Gli incidenti, quella curva. I bambini distratti dal telefonino in classe. Il mito di supremazia che sei mio amico solo se hai questo. I genitori che vogliono i migliori maestri, però poi se mio figlio va male è colpa della maestra e quasi quasi le metto le mani addosso. La rubrica del cellulare che si è rimpicciolita, perché tutti sono andati a studiare fuori e rimangono poche persone da chiamare se di venerdì sera voglio bere una cosa in compagnia. Case  dei nonni vecchie e un po’ disfatte adibite d’improvviso a luoghi per vacanze, ad ostelli fatti da sé lasciati a prendere un po’ d’aria prima dell’arrivo dei turisti. Le serie televisive che parlano di mafia, e poi si scordano degli altri misteri.

Cosa rimane di questa contraddizione? Di questa Sicilia come solo la si immagina e come invece è? Rimane la natura. Noi siamo sia la sagra di paese colorita, cucita addosso a quella fantasia di folklore che ognuno si è stampato dentro, che tutto il resto.  Siamo anche il dolore e la quotidianità normale, nient’affatto variopinta di una famiglia che è andata in fumo. Non siamo il mito della felicità per sempre, dei valori ancora intatti e delle tavole di parenti sempre piene. Non siamo per forza la dietrologia di faide e di poteri loschi che abitano i nostri piccoli paesi. Siamo anche quelli che la mafia non l’hanno mai avvertita, e non perché non esistesse, ma perché aveva già assunto linguaggi così attuali, così quotidiani, così infimi che la mafia poteva essere tutto oppure niente.  Non abbiamo tutti la terrazza del Commissario Montalbano. Guardiamo il mare dal nostro quinto piano, piuttosto che dal primo. I nostri condomini sono lo specchio di comunità che nelle forme sono cambiate, ma il panorama ha resistito.

Di quello che vi immaginate, rimane la natura.  Misteriosa, di poche parole. Bella ma diffidente. Montagna e mare insieme. Rispetto a tanti altri posti qui ci sono entrambi questi elementi, che poi chiamarli così non gli  rende sicuramente giustizia. Ed è di questa abbondanza di carattere che si riempie ogni volta il respiro. E forse è lei che ci ha plasmati a sua somiglianza, è anche lei responsabile dell’idea del siciliano generoso, “abbondante”, grande come grande è la natura che gli appartiene. Ma prima di questa suggestione, viene l’altra verità che ci è stata data: che come la natura siciliana che è opposta, perché è mare e montagna insieme, così è anche il siciliano, perché è sì quello che vediamo e immaginiamo ma è anche quello che non sappiamo di lui.