Quello di Madonna della Neve è tra i titoli più antichi riconosciuti all’Immacolata; il suo culto si fa risalire addirittura al IV secolo d.C. a seguito di un evento ritenuto miracoloso ed accaduto a Roma, che generò la susseguente costruzione della Basilica di Santa Maria Maggiore. Anche a Termini Imerese in provincia di Palermo, notoriamente città mariana e con ben tre immagini oggetto di venerazione, il culto per la Madonna della Neve è da considerarsi il più antico. La città già nel 1624 per volere dei giurati e per forte impegno popolare si votò a Maria con la promessa di “perpetua devozione”, di fatto riconoscendone l’Immacolata Concezione ancor prima che la chiesa cattolica, con Papa Pio IX° l’otto dicembre del 1854, ne proclamasse il dogma. E fu proprio in quella occasione infatti che, giusto la vecchia immagine in cartapesta della Madonna della Neve, oggi opportunamente conservata, non appena diffusasi la notizia venne portata nottetempo in processione per la città fra inni e preghiere ed alla fioca luce di fiaccole di ampelodesmo (ddisa). Ma a Termini Imerese la confraternita che ne curava il culto, prima detta “degli scalzi” e successivamente al 31 agosto del 1778 proprio della Madonna della Neve, era già ben attiva e poteva contare su numerosi aderenti. Ne era principale punto di riferimento una angusta chiesetta, oggi non più esistente, a ridosso di una protuberanza rocciosa poco sotto l’antica cattedrale di San Giacomo; costante meta di pellegrinaggi da parte dei numerosi devoti che qui venivano ferventemente a pregare e scioglier voti con sincera fede.
Ancor oggi, alle quattro dell’otto di dicembre, quando è ancora buio, vicoli e stradine della città vengono pervasi da questa suggestiva atmosfera ed accorate risuonano le preghiere e i canti dei fedeli. Tanti seguono in processione il simulacro a piedi scalzi e con in mano grossi ceri, tra gli inni della banda musicale e le invocazioni dei portatori; che salendo le ripide scalinate del centro storico gridano “E chiamamula ca n’aiuta, Viva Maria Mmaculàta!“ Così come avveniva anticamente, il pellegrinaggio notturno è considerato una vera e propria penitenza; esso infatti si conclude in chiesa con le confessioni e la partecipazione alle sacre funzioni mattutine. Non manca certo anche l’aspetto allegro e festaiolo; per tradizione infatti tanti in città fanno la cosiddetta “nuttata ra Maronna”, riunendosi nei circoli od in gruppi familiari per giocare a carte od a tombola e mangiare la classica “favazza cu caciu e a sarda salata” (in qualche maniera simile allo spincione palermitano) accompagnata da frutta secca “u scacciu” dai classici “cucciddata” e dall’immancabile buon bicchiere di vino novello.