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      Un antico proverbio in uso a Termini Imerese recitava: Doppu li tri rrè carnalivari è; intendendo con ciò significare che, passata l’Epifania con l’arrivo dei Magi, iniziava in città il periodo carnevalesco. E’ stato così o quasi, fino allo scorso anno; perché pare proprio che in questo 2017 a Termini Imerese il carnevale non s’avrà da fare. Era nell’aria già da tempo che il comune, con scarsissime risorse economiche, con problemi di approvazione di bilanci, e per di più commissariato, avrebbe avuto serie difficoltà ad organizzare una manifestazione che, se pur fatta anche in tono minore, necessita in ogni caso di un qualche investimento. In varie riunioni o contatti, più o meno ufficiali, fatte da e con diverse realtà locali, l’unica certezza emersa è quella che il comune non ha soldi; mi verrebbe da dire: Abbiamo scoperto l’acqua calda!

       In merito nessun segnale nemmeno dai tanti politici, passati, presenti e futuri, veterani o neofiti che, c’è da giurarci, con l’approssimarsi delle elezioni vedremo invece alacremente impegnati nel consueto ed ormai noioso giro delle sette cappelle per chiedere voti ai cittadini. D’accordo, i problemi di Termini Imerese sono ben altri e sono purtroppo tanti; lungi da me pensare quindi che il carnevale debba essere considerata una priorità. Ma non dare continuità a questa antica tradizione è come perdere un altro pezzo di storia della nostra città. Lo dobbiamo ai tanti “pionieri” che nel dopoguerra, ed a costo di enormi sacrifici diedero nuova vita alla manifestazione; e tra questi mi piace ricordare, ma l’elenco potrebbe essere ben più lungo, i fratelli Agostino e Totò La Rocca, il cavaliere Ignazio Casamento e l’indimenticato Vicè Favara. Lo dobbiamo alle tante maestranze che fin negli anni sessanta lavoravano con impegno e gratuitamente alla costruzione dei carri allegorici dentro un vecchio capannone freddo e buio, per poi accontentarsi di una modesta coppa e di una amichevole schiticchiata con vino e favazze.

        E’ giunta l’ora che ognuno di noi faccia la sua parte; lo chiedo alle maestranze, alle associazioni, alle scuole, ai politici, ai commercianti ma anche ai singoli cittadini. Non fare il carnevale sarebbe una ulteriore ferita inferta a questa comunità già da tempo sofferente e senza precisi obiettivi che, invece di navigare a vista, ne possano in qualche maniera indirizzare la rotta per un rilancio sociale, economico e culturale. Meditate gente!

 

Menzapinna