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"Tipico ma non troppo": così nel servizio andato in onda ieri sera "Report" ha sollevato pesanti dubbi sul mito del pistacchio di Bronte. In sostanza, il pistacchio lavorato nella cittadina in provincia di Catania non sempre è "nativo" di Bronte, ma può provenire anche da Siria o Turchia. Nel 2009 l’Unione Europea ha riconosciuto il marchio DOP, la Denominazione di origine protetta. Solo quest’anno su 24 controlli 5 hanno riscontrato illeciti per "usurpazione, imitazione o evocazione di una denominazione protetta, o del segno distintivo o del marchio, nella designazione e presentazione del prodotto". Le confezioni, insomma, evocavano in modo ingannevole il pistacchio di Bronte.

Il marchio DOP riguarda “la materia prima, il prodotto grezzo, le maggiori, diciamo, eventuali sofisticazioni e abusi avvengono sui trasformati”: è quanto afferma Biagio Schilirò, presidente del Consorzio di tutela del pistacchio di Bronte DOP. "Chi non vuole utilizzare pistacchio DOP ma poiché fa una riduzione in granella in farina, fa una piccola trasformazione, questo consente di dire 'prodotto e confezionato a'. Magari evocando una DOP. Per esempio ‘prodotto e confezionato a Bronte’", ha spiegato quindi Biagio Fallico, docente di Agraria all’università di Catania.

Un escamotage regolare e consentito dalla legge. "Bronte è il luogo di lavorazione del prodotto. Una cosa è indicare la lavorazione e quindi la sede dell’impresa, una cosa è far capire che quel prodotto sia di Bronte. Nel marchio non c’è mai Bronte". A parlare è Nunzio Spanò, commercialista dell’azienda brontese “Valle dell’Etna” sulla cui pubblicità per strada, fa notare però il giornalista di Report, campeggia il nome "Bronte" così come lo stemma della Sicilia sulle confezioni di pistacchio tritato di cui non si sa l’origine. La stessa azienda nei confronti della quale, come ha ricordato Gianluca Ferlito, comandante del nucleo operativo del corpo forestale di Catania, insieme alla guardia di finanza, era stato disposto un sequestro. "Una ditta che lavorava pistacchio siriano e turco e che fa un prodotto semilavorato e in etichetta metteva 'prodotto e confezionato a Bronte'. Noi comunque abbiamo eseguito il sequestro solo che abbiamo perso al tribunale del riesame che ha accolto il ricorso della ditta".

Eppure le regole per evitare che il nome di Bronte venga associato a pistacchio estero ci sarebbero. A spiegarle è Dario Dongo, avvocato esperto di diritto alimentare. "Quando un prodotto viene presentato come ‘made in’, made in Italy, made in Sicily, made in Bronte, ma l’ingrediente primario ha invece un’origine diversa, si dovrebbe dare conto della diversità tra il paese di origine, ossia il luogo dove il prodotto è stato realizzato, e il paese di provenienza delle materie prime". Regole che l'Unione europea non fa rispettare generando confusione.