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01Il Trionfo della Morte è un affresco di 6 metri per 6,42 conservato presso la Galleria regionale di Palazzo Abatellis, a Palermo. Non se ne conosce l'autore, ma viene datato intorno al 1446 circa.

L'affresco proviene dal cortile dal Palazzo Sclafani di Palermo, da dove è stato staccato nel Secondo Dopoguerra, per essere conservato presso la Galleria regionale, nei vani dedicati alla ex-cappella. L’opera è infatti di elevato pregio e livello artistico: si pensa che sia stato il frutto di una commissione regia, magari fatta ad un artista straniero, catalano o provenzale, nel XV secolo.

Di autore sconosciuto, si pensa faccia parte del cosiddetto ‘gotico internazionale’, che caratterizzò la Sicilia durante il periodo della dominazione aragonese, con Ferdinando I prima e Alfonso V d’Aragona poi. Il tema del trionfo della Morte era infatti già conosciuto in tutta Italia ed Europa, nel Trecento, ma qui venne rappresentato con una particolare insistenza sui temi macabri e grotteschi della morte, un’insistenza rara in Italia, che ha fatto pensare alle origini straniere, o meglio transalpine, del lavoro: tra i nomi del possibile autore spicca quello del decoratore di vetri Guillaume Spicre di Borgogna.

L'affresco ricalca lo stile delle pagine miniate, con colori neutri e blu su fondo scuro. In un lussureggiante giardino incantato, popolato da giovani gaudenti, irrompe su un cavallo scheletrico la Morte, intenta a scoccare frecce letali sui convenuti. Al centro il cavallo, con le sue costole in evidenza e la macabra testa scarnificata caratterizzata dal curioso schiocco della lingua, corre con criniera al vento, tenendo salda la Morte che si sbilancia in avanti, nell’atto di colpire un giovane. In basso, compaiono i cadaveri delle persone già uccise: imperatori, papi, vescovi, frati, poeti, cavalieri e damigelle, infilzati dalle frecce di Morte; senza esclusione di colpi, Morte tocca chiunque, lasciando ciascuno rappresentato individualmente, in una posizione diversa: talora accovacciata, talora accasciata, talora con espressione di dolore.

A sinistra si colloca il gruppo dei poveri diseredati, il popolo che chiede e supplica alla Morte, di porre fine alle sue sofferenze; l’unica figura che non è intenta verso atti di supplica, e che guarda fisso verso l'osservatore, è stata proposta come autoritratto dell'autore, come spesso succedeva per alcuni dipinti dell’epoca.
A destra, sono collocati gli aristocratici, musici, cavalieri e dame vestite elegantemente, con abiti talora decorati in oro, talora bordati in pelliccia, che imperterriti continuano nelle loro attività, chiacchierando amabilmente presso i bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza. Nell’affresco si trovano due richiami a uno degli svaghi più amati dall'aristocrazia: la caccia, tramite le figure del levriero sull'attenti, posta in alto a sinistra, e del falcone, posto sul braccio dell’uomo che, appoggiato alla fontana, dà le spalle all’osservatore.

Autore | Enrica Bartalotta