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1069335_500306016716334_567003014_n“U cunnuttu”, ovvero il condotto, inteso come conduttura, tubatura.
In questo nostro caso inteso come cloaca.
Dovete sapere che, prima che si costruisse il nuovo molo dell’Arenella, esisteva proprio lì dove termina al mare la Via San Vincenzo de’ Paoli, una piccola banchina in cemento che copriva in parte lo sbocco al mare di una fognatura.
C’era, però, un piccolo problema: per cause a me ignote si era aperta una grossa falla dove la conduttura fognaria faceva proprio una curva a gomito.
Da quel buco uscivano tanti e tali liquami che tutto il mare intorno, per diverse decine di metri, si colorava di un brutto colore marrone…
E non vi dico la puzza che ammorbava l’aria circostante! Indescrivibile!
Così, già da quando ero bambino, ho capito subito cosa volesse dire la frase palermitana “C’è fetu ri cunnuttu”!
Un “fetu”, pardon, una puzza simile si sentiva anni fa quando si transitava nei pressi di Porta Carbone alla Cala, prima che si realizzasse il nuovo scarico fognario e prima che si risanassero, pertanto, le acque antistanti il vecchio porto di Palermo.
E, quindi, tutti voi state sicuramente state pensando che, ovviamente, la popolazione locale si tenesse a debita distanza da quel luogo così insalubre e maleodorante, giusto? Col cavolo!
Bene, a questo punto la dobbiamo raccontare tutta.
Noi ragazzini andavamo lì perché curiosi e forse anche attratti da quell’olezzo, andavamo a guardare quali sorprese potessero uscire da quel buco infernale.
Ma andavamo pure in quel posto per guardare la gente che vi andava a pescare.
Sì, avete capito bene, in quel tratto di mare dove il colore verde o azzurro delle acque era un pallido ricordo, si riunivano numerosi pescatori che facevano la posta al pesce definito per antonomasia “lo spazzino del mare”, ovvero il cefalo, ovvero ancora per i palermitani chiamato “muletto”.
Questi intrepidi (o dissennati?) pescatori usavano un tipo di esca particolare: dentro un secchio di plastica preparavano un impasto di pane duro e altri avanzi di pranzi o cene, ne facevano delle grosse palle tipo arancine di riso; poi le buttavano in quelle acque putride per attirare i cefali.
Certo, ci voleva un bel coraggio a mangiare quei pesci che nuotavano in quel braccio di mare!
C’è stato pure chi, per scommessa, si tuffò e fece in bagno proprio lì… roba da guadagnarsi all’istante colera, tifo e paratifo!
Per quanto ovvio in quella zona non era difficile avvistare qualche animale quadrupede, mammifero e prolifico, che in italiano corrisponde al nome di ratto di fogna, nel nostro caso altrimenti detto “surci ri cunnuttu” e che, spesso, raggiungeva ragguardevoli dimensioni tale da essere identificato come pseudo coniglio!
E nella nostra immaginazione di ragazzini ci aspettavamo che, come nei classici film comici, ogni tanto il pescatore fortunato di turno tirasse fuori dall’acqua un bellu surci preso all’amo!
Il pesce così pescato veniva subito lavato ai due rubinetti (“ai rui cannuola”) di Via della Leva, rubinetti che fornivano acqua potabile a tutta quella parte della borgata confinante con il mare e che aveva ed ha tutt’ora l’aspetto di una casbah tipica dei paesi arabo-musulmani.
A quelle stesse fontane non ci si meravigliava di trovare gente che lavava la propria auto, oppure le stoviglie di casa o, magari, che si faceva shampoo e doccia!
Ma ricordiamo che a quei tempi, fine anni ’60 o anche agli inizi degli anni ’70, erano frequenti i periodi di mancanza dell’acqua corrente nelle nostre case, ancor di più in quelle case dove non vi era una cisterna utile alla raccolta dell’acqua nei giorni di fornitura regolare.
Molto vivi sono nella mia memoria di ragazzino i blocchi stradali organizzati sulla Via Papa Sergio I, l’asse principale della borgata, quando l’acqua non veniva erogata per quattro o cinque giorni di seguito.
Ricordo che a casa nostra si raccoglieva l’acqua nelle vasche dei due bagni, nei bidoni di tutte le capacità possibili ed immaginabili, addirittura c’era un bidone da ben sessanta litri!
Quando si organizzava un blocco stradale per noi bambini era uno spettacolo.
Da casa mia si godeva di un posto in prima fila, dal balcone che dava sulla via principale si poteva assistere ai preparativi del blocco e vedevamo accumulare a mo’ di barriera tutti i materiali che si potevano trovare in una discarica: vecchi copertoni, parti di mobilia, assi di legno chiodate e, dulcis in fundo, centinaia di bottiglie di vetro rotte in mille pezzi (gli attuali cassonetti per l’immondizia che si utilizzano ai giorni nostri per sbarrare le strade non erano ancora in servizio).
E, siccome in ogni manifestazione non mancano mai elementi facinorosi (a noi ben noti!), ecco che ci divertivamo a guardare “le sciarre” (litigi, ndr) che inevitabilmente avvenivano tra coloro che protestavano per la cronica mancanza d’acqua e gli automobilisti che volevano forzare il blocco.
Per fortuna con la costruzione di nuove dighe che forniscono regolarmente l’acqua a tutta Palermo, questi ricordi dei blocchi stradali sono diventati lontani ricordi.
Tornando al nostro “cunnuttu”, adesso non ve n’è più traccia, la condotta fognaria è stata in parte conglobata nella nuova e più grande banchina e poi allungata per qualche chilometro in mare aperto.
Sulla sinistra esiste sempre una spiaggia che porta fino ed oltre la vecchia Chimica Arenella, spiaggia che d’estate, oltre ad essere utilizzata dagli abitanti della borgata, si riempie di tendopoli messe su da improvvisati campeggiatori provenienti da altre borgate palermitane.
E, purtroppo, proprio perché ridotta ad un campeggio selvaggio, questa spiaggia ha sempre bisogno di maggiori cure e di adeguata pulizia e bonifica prima di ogni estate.
Quasi quasi qualcuno dei vecchi “rinidduoti” rimpiange quando c’era il vecchio “cunnuttu”, quando quella zona era off-limits e vi si pescavano i “muletti”…


Palermo, marzo 2014