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Quando si arriva a Castelvetrano, non si può non associare il nome del bandito Salvatore Giuliano al “cortile dei misteri” ubicato al numero civico 98 della via fra Serafino Mannone e cioè “Lu curtigghiu di Giulianu” così rimasto nella memoria popolare e così denominato con una targa, anche da una passata amministrazione comunale, anni dopo quanto avvenuto il 5 luglio del 1950, “di Turiddu”.

Tralasciando tutte le vicende che riguardarono il bandito in quegli anni, alcuni quesiti rilevati, ancora oggi rimangono irrisolti, nonostante la riesumazione del cadavere, per il prelievo del DNA del bandito che corrisponde, avvenuto il 28 ottobre 2010, allo scadere del segreto di stato apposto sul caso.

Ma purtroppo la corrispondenza del DNA diventa incompatibile se si tiene conto della misurazione dello scheletro di mt.1,66 cm. rinvenuto nella tomba di famiglia in quanto mancherebbero circa 10 cm.  rispetto all’altezza reale di Turiddu in vita,  che doveva essere almeno di mt.1,77cm.  confermato da  alcuni suoi familiari ancora in vita,

Da qui alcuni interrogativi:

  • perché l’avv. Gregorio Di Maria il quale avrebbe ospitato la sera prima del misfatto il bandito nella sua abitazione al n° 100 sulla stessa via Mannone,  rivelò a due infermieri in punto di morte presso l’ospedale di Castelvetrano che il corpo rinvenuto e riverso nel suo cortile il 5 luglio non era quello di Turiddu Giuliano ma di un suo sosia?
  • versione sostenuta anche dal cognato di Giuliano, Pino Sciortino, che dichiarava successivamente  a due studiosi del caso G .Casarubbea e M. Cereghino di un giovane di Altofonte sosia di  Salvatore Giuliano che il bandito utilizzava per farsi vedere in giro al posto suo per depistare  nemici e forze dell’ordine e che misteriosamente scomparve a Castelvetrano il giorno prima dell’ammazzatina.

Ma allora di chi è il corpo riesumato e il DNA prelevato? Perché a Castelvetrano e proprio in quel cortile?

Perché le dichiarazioni raccolte nell’immediatezza del fatto da gente del luogo presenti nelle loro case alle prime luci dell’alba  in quella fatidica mattinata, dissero di non avere sentito gli spari di una mitraglietta che sventagliò una raffica di proiettili  per colpire il bandito, in netto contrasto con la versione ufficiale degli organi inquirenti che  dichiararono successivamente nel processo di Viterbo, che “gli spari non  potevano essere sentiti dai vicini di quel cortile, per via del silenziatore di cui era munita  quella sola mitragliatrice”, mentre si sentirono distintamente due colpi di pistola e altri di fucile compreso il rumore un auto, che si allontanava a velocità da quel cortile?

Perché i fori dei proiettili di entrata e uscita su quel corpo riverso a terra risultarono incompatibili (al medico legale) con il sangue trovato a terra?

Perché furono rinvenuti graffi lungo tutto il corpo, come se lo stesso fosse stato trascinato in quel cortile di Castelvetrano e la famosa cintura dei pantaloni che portava il bandito non era infilata dentro due passanti, quasi che il defunto fosse stato rivestito in tutta fretta?