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Chi è Francesco Marino Mannoia: biografia del collaboratore di giustizia

Chi è Francesco Marino Mannoia? Biografia dell’ex mafioso e collaboratore di giustizia: dove è nato, quanti anni ha e cosa ha fatto negli anni, la latitanza e l’arresto, quando e come ha deciso di collaborare. Le rivelazioni e la vita tra gli Stati Uniti e l’Italia.

Francesco Marino Mannoia

Francesco Marino Mannoia nasce a Palermo, il 5 marzo del 1951, quindi ha 72 anni. È conosciuto con i soprannomi di “Mozzarella” o “Il chimico”. Svolge l’attività di meccanico, quindi si affilia alla famiglia della zona di Santa Maria di Gesù, a Palermo, ed entra a diretto contatto con Stefano Bontate.

Si occupa principalmente delle raffinazione dell’eroina, partendo dalla morfina base. Una tecnica imparata da uno zio. Stando a quanto emerso, in quel periodo è uno dei pochi in grado di effettuare questo tipo di attività, quindi lavora per diverse famiglie palermitane e siciliane.

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Latitanza e arresto

Nel corso della seconda guerra di mafia, negli anni tra il 1981 e il 1984, Bontante viene ucciso, ma Mannoia si salva, perché si trova in carcere, con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti. Evade dal carcere di Castelbuono (Palermo) nel 1983 e si lega ai corleonesi di Totò Riina.

L’arresto di Francesco Marino Mannoia avviene il 21 gennaio del 1985, mentre si trova in compagnia dell’amante. In contemporanea, viene raggiunto da un altro mandato di cattura, per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, in seguito alle accuse dei collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno. Per Mannoia arriva una condanna in primo grado a 16 anni di carcere, nel corso del Maxiprocesso di Palermo. Dopo aver scontato la sua pena, torna a essere un uomo libero.

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Collaborazione con la giustizia

Mannoia decide di collaborare con la giustizia nel mese di ottobre del 1989. In seguito alla scomparsa del fratello Agostino, vittima della “lupara bianca” e l’uccisione all’Ucciardone di Vincenzo Puccio, avverte il pericolo per la sua vita. Per questi motivi la sua amante, Rita Simoncini, contatta a Roma i vertici della Criminalpol (Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli), spiegando che Mannoia intende parlare soltanto con Giovanni Falcone (in quanto unico di cui si fida).

Nel corso del primo colloquio con Falcone, Francesco Marino Mannoia afferma: “Sono stanco e nauseato di appartenere a Cosa nostra: un’appartenenza che mi ha arrecato un grave turbamento e una profonda crisi di coscienza. Non cerco sconti di pena, ho capito di aver fatto un grave errore e voglio parlare”.

Quindi aggiunge: “Certo, non vedo un vero impegno dello Stato contro la mafia ed è per questo, dottor Falcone, che ho deciso di collaborare esclusivamente con lei e con il dottor De Gennaro”. Le sue dichiarazioni riempiono circa 400 pagine di verbali: rivela i nomi dei responsabili di grandi traffici di eroina e di alcuni delitti avvenuti in quegli anni, tra cui alcuni di lupara bianca, ma si rifiuta di parlare di legami tra Cosa nostra e la politica. A suo parere, lo Stato non è pronto per rivelazioni di quella portata.

Nel mese di novembre del 1983, quando ancora non è trapelata pubblicamente la notizia della collaborazione, un commando massacra a colpi di pistola e lupara in una strada di Bagheria, in provincia di Palermo, la madre di Marino Mannoia, Leonarda Costantino, la sorella Vincenza Marino Mannoia e la zia Lucia Costantino. Si tratta di una vendetta trasversale, ma il neo-collaboratore continua a rendere le sue dichiarazioni a Giovanni Falcone.

Testimonianze negli USA e ritorno in Italia

Nel frattempo, la moglie Rosa Vernengo chiede il divorzio, sempre a causa della scelta di collaborare. Marino Mannoia sposa così Rita Simoncini, che lo segue nel suo percorso. Arriviamo così al 1990, anno in cui rende la prima testimonianza per la prima volta in un’aula di tribunale come collaboratore, nel giudizio d’appello del Maxiprocesso di Palermo. Nello stesso anno è trasferito negli Stati Uniti d’America, sotto la protezione dell’FBI.

Testimonia nel 1991 nel processo “Iron Tower” che si svolge a New York e vede coinvolto il clan Gambino-Inzerillo-Spatola. Fa anche ritorno diverse volte in Italia, per testimoniare in diversi processi. Rientra definitivamente in Italia nel 2011, perché sia la moglie che i figli non si integrano negli Stati Uniti.

A questo punto, Marino Mannoia entra in collisione con il Servizio centrale di protezione: rivendica l’importanza delle sue testimonianze e la differenza di trattamento economico, rispetto al sistema di protezione statunitense. Su Repubblica, in un articolo a firma di Salvo Palazzolo del 27 luglio del 2011, si legge:

“Oggi, Francesco Marino Mannoia si vede solo e disperato: alcuni giorni fa, ha tentato di suicidarsi, ingerendo un cocktail di farmaci, ma sua moglie è riuscita a salvarlo in extremis, portandolo in ospedale. Era già accaduto un’altra volta, un mese fa. E qualche giorno dopo Mannoia aveva affidato il suo sfogo al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che era andato a interrogarlo per una vecchia inchiesta: ”Sono deluso, amareggiato, dopo tutto quello che ho fatto per la lotta alla mafia, dal 1989””.

Tante le rivelazioni, nel corso del tempo. Mannoia si autoaccusa anche del furto della Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, una celebre tela di Caravaggio. Secondo la sua versione, la tela rubata nel 1969 si sarebbe rovinata irreparabilmente nel corso del trafugamento.

Redazione