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Ben 22 anni in carcere da innocente, e 36 anni di calvario giudiziario valgono 6 milioni e mezzo di euro. È il risarcimento che che il Ministero dell'Economia dovrà versare a Giuseppe Gulotta, ex muratore trapanese ergastolano per errore e assolto, dopo 22 anni in prigione, dall'accusa di essere l'esecutore della strage di Alcamo, l'omicidio di due carabinieri in una caserma di Alcamo Marina avvenuto nel gennaio 1976. Il risarcimento è stato deciso dalla corte d'appello di Reggio Calabria e prevede una provvisionale, cioè un anticipo, di 500 mila euro che Gulotta riceverà presto dalla Banca d'Italia. La sentenza era attesa da 4 mesi. I legali avevano chiesto 56 milioni di euro di risarcimento.

Gulotta è stato vittima del più grosso errore giudiziario della storia d'Italia. Ora ha 58 anni, in carcere ci era finito a 18 anni e fino al febbraio 2012 era stato recluso a San Gimignano, in provincia di Siena. Nel 1976 faceva il muratore, e aveva fatto domanda per entrare nella Guardia di Finanza. Il 13 febbraio viene prelevato dai carabinieri, portato in caserma, legato mani e piedi a una sedia, picchiato, minacciato di morte con una pistola che gli graffia le guance.

Botte, insulti, i testicoli strizzati. Così per 10 ore finché "sporco di sangue, lacrime, bava, pipì" si rassegna a confessare quello che gli urlano i carabinieri, pur di porre fine a quell'incubo. Ma è un'illusione. La sua vita precipita in una voragine. Niente pena di morte, che in Italia non esiste, ma condanna all'ergastolo. Identico il destino giudiziario dei suoi "complici".

Solo dopo 36 anni di tormenti Gulotta è riuscito a dimostrare la sua totale innocenza nel processo di revisione che si è celebrato a Reggio Calabria e si è concluso con la sua assoluzione con formula piena il 13 febbraio 2012, esattamente 36 anni dopo il giorno del suo arresto. Il 20 luglio successivo si è chiuso con l'assoluzione anche il processo di revisione per Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, i presunti complici, fuggiti in Brasile prima della sentenza definitiva e rimasti 22 anni lontani dall'Italia.

E infine – evento straordinario, forse unico nella storiagiudiziaria italiana – è stato celebrato il processo di revisione anche nei confronti di Giovanni Mandalà, morto in cella, disperato, nel 1998. E anche questo processo si è chiuso con la assoluzione piena e la riabilitazione del condannato. Solo nei 4 processi di revisione la verità, a lungo disperatamente gridata ma fino ad allora respinta da giudici distratti o negligenti, è emersa con chiarezza.