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CALTANISSETTA – La decisione era ormai presa, ma per dare il via libera alle stragi di Capaci e via D'Amelio era necessario mettere in campo l'apparato esecutivo degli attentati contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per questo alla fine del 1991 Totò Riina avrebbe incontrato più volte Matteo Messina Denaro, non ancora riconosciuto come un padrino in ascesa e non ancora latitante.

Sugli obiettivi di quegli incontri, organizzati in un clima di cordialità e familiarità, i magistrati della Dda di Caltanissetta non hanno dubbi e perciò hanno chiesto per le stragi del 1992 anche il rinvio a giudizio di Messina Denaro, già condannato invece per le stragi del 1993. L'udienza preliminare si terrà il 22 dicembre davanti al giudice Marcello Testaquadra, secondo quanto si legge nella citazione notificata alla madre del boss a Castelvetrano, in provincia di Trapani.

L'inchiesta che assegna a Messina Denaro un ruolo di mandante e di organizzatore delle due stragi ruota attorno alle dichiarazioni di alcuni collaboratori secondo i quali nei giorni in cui si preparavano gli attentati Riina era accolto e protetto dal giovane boss. Si muovevano con un'Alfa, si dedicavano a gite e visite in gioielleria. La ricostruzione di quei contatti offre al procuratore Andrea Bertone, agli aggiunti Lia Sava e Gabriele Paci e al sostituto Stefano Luciani molti elementi per comporre un ritratto inedito, e più completo, di Messina Denaro sin dagli anni giovanili.

A quel tempo era poco più che trentenne ma, almeno nel Trapanese si muoveva come il vero delfino di Riina che a Castelvetrano era arrivato con moglie e figli. Lo dice, tra gli altri, il collaboratore Francesco Geraci che gestiva una gioielleria. Nel suo negozio i due boss arrivarono un giorno per mettere al sicuro una borsa con il "tesoro" della famiglia Riina: orecchini, collane, monili di varia natura. Lo stesso Geraci racconta poi di una gita in barca e di costosi regali al capo dei capi: un Rolex per il figlio Gianni, un altro per il figlio Salvatore. Messina Denaro chiedeva per sé abiti eleganti mentre era impegnato nella ricerca dell'esplosivo.

La prima parte del progetto di uccidere Falcone prevedeva una missione a Roma del gruppo di fuoco. E Messina Denaro, secondo i magistrati, era già pronto con l'armamentario necessario. Il pentito Vincenzo Sinacori ricorda di averlo visto su un'auto attrezzata come un arsenale e carica di kalashnikov e pistole. Le armi dovevano essere trasferite a Roma dove Messina Denaro cercava casa ai Parioli. Gli abiti eleganti gli servivano perché, nel tempo libero, si riprometteva di frequentare locali di lusso, secondo le abitudini. Il progetto di uccidere Falcone venne poi cambiato in corso d'opera e invece che a Roma venne attuato piazzando una carica di esplosivo sull'autostrada per Punta Raisi.