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Domenica 11 dicembre a San Domenico,  un grande evento per riflettere  e condividere le musiche più belle della tradizione del Mare Nostrum

 

   Le parole e la musica sono, da qualche anno a questa parte, la felice combinazione del Concerto di Natale, evento voluto e organizzato da Radio Spazio Noi inBlu, la radio dell’Arcidiocesi, e dalle Pastorali della Cultura, Comunicazione, Educazione.
Domenica 11 dicembre, alle 18.45, alla presenza dell’Arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, la Chiesa di San Domenico ospiterà un percorso affascinante e impegnativo, che avrà per tema: “Il Mediterraneo in dialogo”.  Da questo macrocosmo si dipartono poi due sottotemi:  le parole  (che approfondiranno “Il mistero della donna nelle religioni del Mediterraneo”) e la musica (“Pastorali, novene e canti della tradizione del Mediterraneo”).


    Un universo tutto da scoprire e da riscoprire, quello femminile, nelle sue mille declinazioni. Un tema che fa da sfondo ad altrettante riflessioni, che portano a un mondo di collaborazione e, contemporaneamente, al suo esatto opposto: quello che vede la donna oggetto, spesso vittima, come dimostrano cronache vicine e lontane. 
A intervenire su “Il mistero della donna nelle religioni del Mediterraneo” saranno tre donne di cultura che rifletteranno sulle tre grandi religioni monoteiste:  Nicole Oliveri, Iman Rosalia Marchiafava e Maria Lo Presti, accompagnate da Giuseppe Savagnone.
Un passaggio obbligato e al tempo stesso di grande suggestione e attualità, quello che lega la donna al mare (e il Mediterraneo è per noi il mare per antonomasia), al dialogo, all’accoglienza, a questa innata tensione alla vita che va ben oltre la maternità: in questo senso si può, quasi si deve, parlare ancora di mistero. Il mondo femminile si snoda senza soluzione di continuità tra presente e passato. Attraverso questo filo rosso è possibile quindi recuperare e ricostruire l’atteggiamento delle tre religioni del Mediterraneo nei confronti delle donne e il cambiamento con lo scorrere dei tempi.


   Di pari passo alle riflessioni, si snoderà il percorso musicale, “Pastorali, novene e canti della tradizione del Mediterraneo”, che vedrà protagonisti lo Yankele Ensemble con la "Piccola Orchestra d'Archi". Un viaggio affascinante, alla ricerca delle radici più autentiche della tradizione, attraverso la riproposizione di pastorali, canti e novene che sembrano non avere tempo. Detentrice, depositaria di queste musiche antiche, e conservate con cura, come si faceva con i vestiti della festa, è ancora una volta la donna, a cui sovente spetta il compito di trasmettere.
   In scena: voce, 4 violini, viola, violoncello, chitarra, contrabbasso, clarinetto, percussioni, zampogna a chiave e zampogna a paru, tastiere, voce in “Tide”, voce nelle Novene e Ninnaredda.
 

Tra i brani in programma: Pastorale dal Concerto Grosso op.3 n. 12 di F. Manfredini (1684-1762), Ave Maris Stella, J. S. Bach (1685-1750), Ave Maris Stella, NCCP, dalla Cantata dei Pastori. Arr. P. G. Intorre, Ninna nanna, tradizionale Cappadocia. Arr. M. Frangipane, Novena di Natale, dal repertorio dei cantastorie ciechi (gli orbi) di Palermo, Santi Spiriti Divini, Ninnaredda di Isnello (PA), tradizionale, Sutta un pedi di nucidda, tradizionale Sicilia. Arr. M. Frangipane.

L’evento  verrà poi trasmesso sulle frequenze di Radio Spazio  Noi  inBlu  – MHz 88.00 (PA) – 88.500 (AG, CL, EN) – 99.300 (PA) – 106.300 (PA) . Sabato 17, sabato 24 e sabato 31 dicembre alle ore 18.12 sarà la volta delle Parole. La Musica andrà invece in onda domenica 18, domenica 25 dicembre alle ore 21.00 e domenica 1 gennaio sempre alle 21.00

 

Qualche curiosità sul concerto di Natale

 

Andrea Perrucci (Palermo, 1651 – Napoli, 1704) è stato un drammaturgo, librettista e gesuita, teorizzatore della commedia dell’Arte e tra i primi letterati e dedicarsi al melodramma come librettista.
   Il dramma sacro “Il vero lume tra le ombre, ovvero la sperona arricchita per la nascita del verbo incarnato (o del verbo umanato)”, meglio noto come “La cantata dei pastori”, è un’opera del teatro religioso scritta nel 1698, in cui viene rappresentata la nascita di Gesù. L’opera, in tre atti, ebbe una notevole fortuna nei teatri popolari napoletani, venendo rappresentata la Notte di Natale per  due secoli. La trama narra il viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme e delle insidie che i diavoli frappongono loro per impedire la nascita di Gesù. I diavoli saranno infine sconfitti ad opera degli angeli e, al termine, vi sarà l’adorazione dei vari e classici personaggi del presepe: pastori, cacciatori e pescatori.
   Col tempo, il tono dell’opera ha virato sempre più verso il comico e il profano, tanto che nel 1889 la sua rappresentazione fu temporaneamente sospesa. Nel 1977 la Rai ne diede una meravigliosa rappresentazione per la regia del maestro Roberto De Simone. Oggi viene messa in scena durante il periodo natalizio dalla compagnia teatrale di Peppe Barra.
   Tra in protagonisti della sacra rappresentazione c’è Razzullo, uno scrivano inviato in Palestina per il censimento e per riscuotere le imposte, comico personaggio perennemente affamato ma buono e onesto, che lascia il suo lavoro perché non può accettare di compiere ingiustizie quali togliere soldi a chi è già povero. Razzullo cerca allora un nuovo lavoro che gli permetta di poter mangiare, ma c’è sempre qualcosa che va storto e la pancia resta ancora una volta vuota…
Diverse avventure vedranno protagonista il nostro Razzullo, il quale si troverà pure di fronte al diavolo Belfagor che vuole impedire la nascita di Gesù, ma egli sarà aiutato anche da Maria e Giuseppe, finché:

Ed io, che so’ n’afflitto e sventurato,
ch’aggio tanto passato,
e desgrazie e pericule e travaglie,
tutte le benedico,
pecché aggio visto a prova,
ca pe ogne travaglio, Dio se trova.

 

 

STRUMENTI PARTICOLARI

Duduk armeno: oboe tradizionale della cultura armena, presente anche in Turchia con il nome di Mey. È costituito da un’ancia doppia di grandi dimensioni e da un corpo realizzato in legno di albicocco avente una cavatura conica e un numero variabile di larghi fori digitali. Con molta probabilità, l’antenato diretto di questo strumento è il famoso “Aulos” di cui tanto si parla all’interno della cultura greca.

Zampogna a paru:  detta anche “Ciaramedda a paru”, è una particolare tipologia di zampogna diffusa in Sicilia e Calabria. È costituita da un otre che funge da riserva d’aria, realizzato con pelle di capra nel quale, in corrispondenza del collo dell’animale, s’innesta un blocco-raccordo in cui si inseriscono sia le canne melodiche, provviste di fori digitali che permettono di articolare suoni diversi,  che i bordoni, che  invece emettono un unico suono continuo.
Le due canne melodiche, la destra, detta “a ritta”, che realizza la linea melodica, la sinistra detta “a manca”, che esegue l’accompagnamento, hanno uguali dimensioni e sono dette, appunto, “a paru”, ossia a  paio. I bordoni sono solitamente tre: “u bbasciu” (basso), “a quatta” (tenore) e “u fischiettu”. Tutti intonati, su diverse ottave, sul V grado della tonalità in cui è accordato lo strumento. Il repertorio non si limita esclusivamente al Natale: la zampogna era ed è uno strumento che suona in diverse occasioni, soprattutto legate al ballo.

Zampogna a chiave: zampogna diffusa in tutto il Mezzogiorno d’Italia, con dimensioni e tonalità assai diverse tra loro. A differenza della zampogna “a paru”, la canna melodica di sinistra, ossia quella dell’accompagnamento, ha dimensioni molto più lunghe della destra, e reca una “chiave”, simile a quelle che si trovano nei moderni strumento a fiato, che aziona l’ultimo foro digitale collocato molto più in basso rispetto ai precedenti. Il numero dei bordoni varia da due a tre, raramente quattro, a seconda delle zone geografiche e delle dimensioni dello strumento.
In Sicilia questa zampogna è relegata all’area del monrealese, ed è presente solo nella versione “gigante”: l’intera dimensione dello strumento supera il metro e settanta di lunghezza ed è accordata esclusivamente in tonalità minore con un repertorio quasi esclusivamente sacro,  a differenza di quelle presenti nel resto del sud Italia, che invece sono accordate in tonalità maggiore e il cui repertorio varia dalla musica da ballo a quella sacro-devozionale.

Cajon: nasce in Perù tra il XVII e il XVIII secolo, quando agli schiavi provenienti dall’Africa venne proibito di utilizzare i propri tamburi e strumenti musicali. Questi, non potendo rinunciare in alcun modo alla propria cultura e soprattutto a officiare i propri riti, in cui le percussioni erano parte fondamentale, iniziarono a utilizzare le casse per lo stoccaggio e il trasporto di frutta, cotone e quant’altro come strumento, poggiandolo in verticale, sedendocisi sopra e percuotendo il lato maggiore con le mani.
Nel vicino 1982 Caitro Soto, percussionista del grande chitarrista flamenco Paco De Lucia, conobbe lo strumento in una tournée in Perù e ne rimase estremamente affascinato. Decise allora di costruire il proprio modello, nel quale ridusse lo spessore del “tapa”, ossia della superficie battente, e inserì due corde basse di chitarra clastica poste a V e poggiate nella parte interna del “tapa”, avente la funzione di cordiera rullante. Da allora il cajon divenne uno degli strumenti principi del flamenco.

Bendir: tamburo a cornice medio-grande senza sonagli diffuso con vari nomi in tutto il Mediterraneo e nei Paesi di cultura islamica. È costituito da una cornice circolare in legno sulla quale viene fissata una pelle animale, il più delle volte capra, che viene messa in vibrazione dalle dita con tecniche diverse che prevedono l’uso di entrambe le mani.

 

Tamburello: tamburo a cornice di medio-piccole dimensioni, con cembaletti o sonagli, diffuso in tutto il Meridione d’Italia e presente in altri contesti geografici con nomi e tecniche per suonarlo assai diverse tra loro.
In Italia sono presenti numerose tecniche esecutive, connesse alle aree geografiche regionali, ma in linea generale possiamo dire che la tecnica italiana prevede che il tamburello venga retto e scosso con una delle due mani e colpito in vario modo con l’altra. In tutto il Mediterraneo, da un punto di vista rituale, questo strumento è fortemente legato al mondo femminile: le prime attestazioni iconografiche risalgono a circa 6000 anni da e raffigurano le donne, presumibilmente sacerdotesse, che recano in mano un tamburo nell’atto di suonarlo.