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01Fin dall’antichità l’arte ha significato la capacità dell’uomo di realizzare un qualsiasi manufatto; poi nel corso della storia il concetto di arte ha subito varie trasformazioni. Nel periodo ellenistico si distingueva tra arti comuni e arti liberali, dove le prime erano il prodotto dello sforzo fisico e le seconde di quello intellettuale. In ogni caso, già etimologicamente arte (in sanscrito “are”, dal latino “ars” e “artis”) corrisponde alla capacità umana di “ordinare”, “articolare” qualcosa. Ciò che anticamente differenziava un oggetto d’arte da quello artigianale era che il secondo, oltre alla funzione decorativa comprendeva anche quella d’uso. Dal Rinascimento in poi invece la differenza diventò qualitativa, e quindi un’opera d’arte da allora, e ancora oggi, per essere definita tale deve necessariamente possedere un valore e una qualità artistica, e non semplicemente una funzione decorativa. Il prodotto artigianale invece, seppur anche esteticamente molto bello, assolve essenzialmente alla funzione d’uso o semplicemente a quella decorativa, senza che necessariamente debba possedere alcuna qualità artistica.

  A fornire l’etichetta di opera d’arte al prodotto dell’ingegno umano, che sia pittura, scultura, letteratura, poesia, musica, architettura o altro, sono l’originalità, l’estetica e la possente capacità di emozionare con profondità. Nell’arte figurativa tali attributi si estrinsecano nella forma e nei colori; nella musica emergono attraverso le note; nell’arte letteraria affiorano dal testo e sono trasmessi dallo stile. Insomma, è la genialità e la creatività dell’artista che quasi da sola, preparazione a parte, è in grado d’imprimere all’opera d’arte la possente capacità di comunicare la profondità dei suoi sentimenti e delle sue idee. La buona tecnica può dare una buona esecuzione, ma la vera opera d’arte si distingue perché va oltre la tecnica ed esprime, attraverso codici comunicativi universalmente compresi, unicamente il genio, l’ispirazione e la creatività dell’artista. In definitiva, l’arte deve semplicemente sapere comunicare le emozioni, i sentimenti, la sensibilità e le idee dell’artista: i mezzi con cui lo fa sono secondari, poiché sono semplicemente quelli che egli maggiormente padroneggia, un mero “incidente artistico”. Quando l’artista vi riesce ha assolto il suo compito: ha creato bellezza e suscitato emozioni. Nulla vieta però che l’arte possa andare oltre e acquisire una funzione sociale, che non è soltanto quella estetica. Le idee, le ideologie, le istanze e le lotte sociali per tentare di realizzarle, possono nascere anche dalle emozioni, dalle passioni e dai sentimenti trasmessi dall’opera d’arte in generale. Spesse volte invece nascono dalla semplice, quotidiana e più terrena comunicazione non artistica, la quale spesso è deleteria in quanto materialista, propagandista e interessata, totalmente slegata dalla sacrale spiritualità cosmica alla quale invece rimane agganciato l’artista. Non si tratta solo di fare, bensì intanto di essere: essere se stessi, rimanere autentici, per non perdere totalmente il contatto col misterioso luogo, o non luogo metafisico, da cui tutto trae origine. Dopodiché, ogni azione dell’individuo che conserva o recupera questo contatto, non potrà essere nociva, né per sé né per gli altri, e nemmeno per il pianeta in cui vive. Quella dell’artista magari non sarà sempre l’azione imprescindibilmente pura dell’uomo Illuminato, del Gesù, del Buddha, i quali possono definirsi dei veri Artisti della propria Anima poiché rimangono sempre in “contatto” con il cosmo, ma sarà comunque più pura dell’individuo comune che ha perso ogni contatto con la sacralità cosmica.

  Molte correnti, movimenti e tendenze artistiche e letterarie del passato hanno smosso le coscienze dei popoli e ispirato e anche guidato le rivoluzioni sociali nel senso dell’uguaglianza e della giustizia. Osservando la storia però, è accaduto sempre che successivamente, raggiunti determinati equilibri sociali, ancora elementi poco artistici e niente affatto spirituali si sono reimpossessati subdolamente del potere per restaurare e instaurare con metodi più o meno capziosi, o se serve anche violenti, le politiche sociali ed economiche reazionarie abbattute dalle rivoluzioni. Finora è accaduto puntualmente questo, in ogni parte del mondo, più o meno evidentemente, più o meno cruentemente, da Ovest ad Est, da Nord a Sud; e anzi, oggi con l’aggravante di un mondo sempre più globalizzato. Basti pensare alle recenti Primavere Arabe, il cui fallimento ha creato anarchia e guerre fra bande, opportunisticamente foraggiate da più Paesi in un micidiale intrico di interessi contrapposti, moltiplicando in maniera sempre più insostenibile l’esodo dei popoli di quell’area. Basti pensare all’austerità economico/finanziaria europea imposta dalla troika, che impoverisce le masse e gli stessi Stati cosiddetti sovrani; alle politiche eternamente espansioniste degli USA per il controllo delle risorse del pianeta con la complicità del resto dell’Occidente; e ai giganti economici emergenti come Cina, India, Brasile, Russia, che rivendicano un ruolo importante nello scacchiere politico/economico mondiale. Basti pensare  quindi a tutto l’esiziale corollario che promana dall’attuale instabilità economica, finanziaria e politica in un pianeta ormai così tanto globalizzato e sempre più prono agli ideali iper-liberisti, disumanizzanti ed egoistici. Non è più una questione tra capitalismo, che inizialmente ha creato benessere per molti, e comunismo o socialismo che intendeva realizzare la giustizia sociale e l’uguaglianza sulla Terra. Hanno fallito tutte a causa delle loro innegabili degenerazioni. Degenerazioni che sono il riflesso degli uomini stessi che le hanno mal gestite con tanta male fede, trasformandole in categorie superabili, ormai inghiottite dalla cosiddetta modernità. Dunque ormai piuttosto è una questione tra un’idea di dominio globale e la necessità delle masse di difendersi dal conseguente impoverimento economico e dal decadimento politico e morale.

  Il mondo dell’arte autentica invece, per sua intrinseca natura, opera con disinteresse e spesso con altruismo. Ciò è inevitabile poiché, come si diceva in precedenza, esso possiede sempre qualcosa del divino che lo ispira. Pertanto le idee e le rivoluzioni scaturite dalle tendenze artistiche non possono che essere socialmente costruttive. Basta, si fa per dire, non far salire sul carro dei vincitori i soliti opportunisti senza scrupoli. “La bellezza salverà il mondo”, faceva dire Dostoevskij al principe Miskin; e quanta bellezza c’è bisogno oggi! Bellezza artistica ovviamente, quella che dematerializza e riumanizza le concezioni di un mondo utilitarista basato sul profitto. Intendiamoci, tanto per fare un esempio, anche un costosissimo yacht, o una fuoriserie, o un abito, o un gioiello griffati sono molto belli e desiderabili da chiunque. In un certo senso, anche uno yacht o una fuoriserie possono considerarsi delle opere d’arte con una loro specifica funzione d’uso, realizzate, più o meno in serie, da un’equipe composta da tecnici esperti che ne progettano, appunto, la funzione d’uso (ingegneri), da esperti che ne curano gli ornamenti (designer industriali), e magari da artisti che ne curano e ne griffano l’estetica generale: un misto di prodotto artigianale e di arte. Nulla di deplorevole se non fosse per la concezione economico/produttiva che ci sta dietro, che è esclusiva, disumanizzante, egoista e niente affatto lungimirante, sia in senso sociale che ambientale, giacché consapevolmente o meno tende a distruggere entrambe.

  Ad essere deleteria è la concezione politico-economica iper-liberista, pienamente realizzata negli ultimi trent’anni attraverso un collaudatissimo e subdolo modello ultra capitalista/finanziario/mediatico, ove la democrazia ha perso il suo fondamentale significato. Simile modello è divenuto tanto potente da muovere ormai pressoché indisturbato le fila delle politiche mondiali unicamente nella direzione del profitto sempre più lobbistico e della conservazione del potere, che è sempre più cieco e sordo alle istanze di chi ne resta fuori. Le masse sono sempre più escluse da questi luculliani banchetti politico-economico-finanziari, mentre chi ha il privilegio di farne parte, incredibilmente diviene sempre più una sparuta minoranza ma che conta e comanda sempre più. Di fatto è una plutocrazia che ha scalzato la democrazia. Un siffatto modello, innanzitutto non si cura dei danni ambientali e sanitari che provoca. Danni che sono immediati in quanto a inquinamento prodotto e anche alle guerre finalizzate all’accaparramento delle molteplici risorse del pianeta non rinnovabili ma indispensabili al nostro tenore di vita. Tenore tendente sempre più all’essenzialità e comunque assicurato finché procurerà lauti profitti a chi gestisce le risorse e di cui sono ricchi, guarda caso, i Paesi poveri e politicamente instabili. E danni che saranno percepibili nel lungo termine proprio a causa dell’insostenibile sfruttamento che depaupera il pianeta; ma già ne abbiamo più che qualche avvisaglia. Modello economico che non si cura nemmeno delle disuguaglianze che non solo causa, ma di cui addirittura necessita per autosostenersi, e che quindi tenta di perpetuare adoperando ogni mezzo, lecito e meno lecito.

  Simile modello è una vera mostruosità, e dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti! Occhi che invece vengono appannati da un tale mostro dall’apparenza mite (anche titolo di un interessante saggio di Raffaele Simone, “Il Mostro Mite”), che instilla subdolamente un legittimo, umano desiderio di farne parte attiva invece che sostenerlo passivamente, ma che difficilmente potrà mai realizzarsi, considerando la cruda realtà economica e sociale attuale, dove l’avanzamento sociale per merito è una chimera e dove la forbice tra ricchi e poveri è sempre più ampia e la possibilità di arricchirsi onestamente per un povero è inferiore a quella di realizzare un sei all’Enalotto. Si cita l’Enalotto tanto per fare un esempio più familiare e innocuo, poiché nell’odierna proliferazione delle Sale da Gioco esistono giochi meno innocui, capaci di provocare vere e proprie patologie, le “ludopatie”, nel tentativo compulsivo  della grossa vincita, altamente improbabile, che possa far risalire dallo status di povero o comunque di escluso dal luculliano banchetto di cui si parlava prima. E’ il Mostro mite che si insinua nelle coscienze, stuzzica il desiderio delle masse e inquieta gli individui con la complicità degli Stati che gestiscono il monopolio del Gioco attraverso le concessioni. Stati che poi devono pure curare i “ludopatici”. E’ l’apoteosi dell’assurdo! D’altronde col tabacco avviene la stessa cosa.

  In questo scoraggiante marasma morale, la metaforica ma tragica forbice si sta tramutando in una spada a doppia punta realmente cruenta, che consta dell’unione delle due lame che si divaricheranno del tutto sul perno fisso per indicare funestamente da un lato i monarchi e dall’altro i servi della glebe. Immagine non poetica a dire il vero, ma che spero possa rendere il significato. Proprio in questo declino che inevitabilmente travolge ogni forma di moralità, dove il mercimonio e il profitto sono gli unici dei, c’è ancora più bisogno di arte e di letteratura autentica, efficacemente anticonformista e ribelle. Quell’arte in generale capace di creare correnti riconoscibili, movimenti significativi, tendenze e avanguardie socialmente utili, in grado di rompere realmente con le tradizioni deleterie, piuttosto che adeguarvisi, e invertire decisamente la rotta distruttiva del Titanic su cui tutti, volenti o nolenti, ci siamo imbarcati. Purtroppo ciò che un tempo contraddistingueva le avanguardie, e cioè l’attivismo, anche esasperato, il senso dell’avventura e, più che il piacere, il bisogno di opposizione che oggi è un’imprescindibile e doverosa urgenza, oggi mancano nel mondo dell’arte in generale. Oggi esso appare incapace di individuare un comune denominatore e di aggregarsi per dare forma a definibili tendenze, a correnti e soprattutto a movimenti d’avanguardia, anche in polemica fra loro ma capaci di dare un impulso creativo a questa società proiettata verso la rassegnazione, il nichilismo e l’autodistruzione.

  L’arte figurativa contemporanea ad esempio, appare slegata, isolata, fine a se stessa e in polemica sterile perfino con se stessa. Essa oggi sembra non amare il confronto e appare interessata unicamente a prevalere quale individualità piuttosto che adoperarsi collettivamente e socialmente. Gli artisti non si incontrano, si isolano nelle loro stanze domestiche per riuscire in un improbabile capolavoro e per inseguire con vanagloria il successo. Gli atelier, un tempo laboratori d’arte e d’incontro dove fermentavano idee, oggi sono più freddi studi di progettazione che di produzione artistica. Non si scorgono spinte creative in avanti, bensì una molteplicità di spinte centripete, più esattamente egocentriche, come in un universo che ha esaurito la sua spinta espansiva e tende alla contrazione, al ritorno alla singolarità. La schizofrenica e ossessiva, forzata e vana rottura con la tradizione artistica (ma supinamente conforme ai modelli culturali e sociali moderni), priva di un’esigenza chiaramente motivata, attuata per il semplice gusto di distinguersi, forse per mancanza di autentica ispirazione che è attingibile solo dal genio personale, ha prodotto una miriade di bislacchi e inestetici manufatti, d’ispirazione concettuale, che, a mio avviso, definire arte quantomeno è un azzardo. Dove sta la bellezza? Dov’è andata a finire la capacità di emozionare? E l’esasperata bizzarria delle forme, può definirsi originalità? Poi ci sono tanti altri isolati artisti contemporanei, più o meno bravi, che continuano a produrre dalle loro stanze domestiche soggetti tradizionali da esporre in mostre locali. Mostre poco incoraggiate dalle amministrazioni e snobbate dalla gente tutta presa da altri pensieri, magari di sopravvivenza. In tanto chiuso provincialismo, quanti di questi artisti saliranno sull’altare della gloria, e, soprattutto, quanti riusciranno a riconoscersi in un fine comune e ad abbozzare una qualche valida tendenza socialmente utile?

  Lo stesso penso di tanta architettura sorta in asettici studi di bravi e famosi professionisti, ma poco artisti. E’ ovvio che una laurea non può dare la patente di artista. Brunelleschi e Michelangelo, ancor prima che architetti furono artisti che frequentarono botteghe d’arte. Ripeto, anche al costo di apparire prolisso: l’autentica materia artistica è concepita e forgiata col fuoco interiore dell’artista. Materia che può maturare solo dentro un’anima rimasta ancorata alla terra dove, secondo alcune credenze, eternamente ritorna, e che nel contempo sia connessa al sacro cosmo da cui proviene e di cui imprescindibilmente fa parte.

  Per concludere, non è la politica dei politicanti che potrà salvare il mondo; piuttosto penso che nel lungo termine, solo la bellezza creata dal vero artista potrà salvarlo dal suo declino economico, sociale e morale. Quell’artista che, per essere realmente tale, ha intrapreso un percorso interiore e che si trova spiritualmente a metà tra l’uomo comune e l’uomo Illuminato. Solo da queste due figure, le seconde molto più rare, può nascere una rivoluzione artistica e spirituale che possa contrapporsi efficacemente a quella utilitarista e iper-liberista. I pochi intellettuali, scrittori e giornalisti rimasti indipendenti nel sorvegliare eroicamente il potere, non riescono da soli a informare correttamente l’opinione pubblica, poiché la “potenza di fuoco mediatico” della controparte conforme e funzionale al potere è notevolmente superiore e inevitabilmente vince. Anche i pochi movimenti politici, costituiti da gente stanca dei soprusi e della disonestà della classe dirigente, arrabbiata e animata di buone intenzioni, riescono appena a scalfirlo simile micidiale sistema, giacché la stessa sproporzione mediatica di cui si parlava prima, sa ben individuare subito le contromisure più adatte e non permette un orientamento significativo del voto della gente. Anche se dovessero riuscire a vincere però, nel lungo termine non possiamo avere garanzie che non si facciano blandire dalle sirene del mostro mite e non vi si conformino come gli altri. Se vincessero però, per il momento non sarebbe un male: scalfirebbero un po’ il sistema.

  Per concludere e senza addentrarci troppo nella storia delle principali religioni che in un paio di millenni hanno tanto plasmato il mondo, oggi non sembra che si possa indicarle come istituzioni realmente salvifiche, giacché da troppo tempo hanno abbracciato la dimensione secolare sempre più a scapito di quella spirituale. Inoltre, la locuzione “guerre di religione” è un ossimoro intollerabile, ma del quale il passato e anche il presente non sempre ci ha esentato.

  Sul finire degli Sessanta, sulla scia della “moda” dei viaggi spirituali in Oriente, sono poi sorti una molteplicità di correnti spirituali inquadrabili nel vasto movimento New Age. Grazie a questi viaggi, molte correnti riprendono i principi e le filosofie orientali. Molte però non ne hanno compreso la profonda essenza, e, come nel mondo dell’arte contemporanea, esse inseguono boriosamente glorie spirituali mai raggiungibili, guidate da vanitosi e nient’affatto spirituali Guru. In questo multiforme mondo New Age, qualcosa sembra spiccare quantomeno per coerenza e disinteresse. Ad esempio c’è Maharishi Mahesh Yogi e la sua famosa meditazione trascendentale. Ci sono i messaggi spiritualmente rivoluzionari di Osho e le sue tecniche di meditazione moderna, più adatte alla cultura occidentale. Ci sono i messaggi spirituali e nel contempo scientifici molto dettagliati di Kryon e canalizzati da Lee Carroll. Tutti hanno lasciato o stanno lasciando il segno. Non possiamo sapere se riusciremo a vedere a che cosa condurranno in futuro questi segni, se ad un’autentica rivoluzione spirituale che possa scardinare l’attuale sistema e condurre il mondo alla pace e alla giustizia sociale, o il loro fallimento. Molto dipende da quanto tutti ci impegneremo, ognuno nel proprio piccolo e nel ruolo che ci è più consono, per cambiare culturalmente il mondo. E’ indubbio che tante gocce formano un oceano; e tante belle gocce pure formano un oceano puro. Sarebbe bello potere esserci! E forse ci saremo, magari in un’altra forma, ma ci saremo per vedere. Intanto dotiamoci di tanto ottimismo e di tanta buona volontà, proprio quando la cronaca attuale tanto ottimismo sembrerebbe non ispirare. Risiede qui la differenza tra l’ottimista e l’utopico: il primo s’impegna ad oltranza per un mondo possibile, il secondo teorizza l’irraggiungibile.

 

  Angelo Lo Verme