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La ricetta in un racconto

Ebbene sì, sono cresciuto in oratorio e tutte le feste comandate le ho sempre trascorse preparandomi con diligenza ed impegno alla ricorrenza che di lì a poco avremmo celebrato. Prendevo spesso parte agli incontri spirituali, che se da un lato accrescevano le mie conoscenze religiose, dall’altro consolidavano un senso di appartenenza ad una comunità fatta principalmente di amici con cui condividere momenti di riflessione ma anche situazioni gioviali.

Se mi concentro un po’ ecco che riaffiorano alla memoria ricordi ormai lontani e riesco persino a percepire con chiarezza le parole che il giovane sacerdote ripeteva durante il periodo di Pasqua, parole che consideravo un po’ noiose ma che avevano il preciso scopo di accrescere in noi la consapevolezza di ciò che ci saremmo a apprestati a vivere. Ci ripeteva che tra tutte le solennità cristiane la S. Pasqua è la più importante: celebra la resurrezione di Cristo e la vittoria della vita sulla morte. Il suo significato deriva dal greco pascha e dall’aramaico pasah che significano letteralmente “passare oltre”. Nella Pasqua ebraica si ricorda il passaggio attraverso il mar Rosso dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione, mentre in quella cristiana il passaggio è dato dalla morte alla vita in Gesù Cristo. La Pasqua cristiana è preceduta da un periodo di penitenza chiamata Quaresima che dura 40 giorni e che va dal mercoledì delle Ceneri al sabato antecedente il giorno della resurrezione. Durante la Settimana Santa, compresa tra la domenica delle palme e la domenica di Pasqua, si svolgono i riti del triduo pasquale che rievocano la Passione di Cristo: il Giovedì Santo si celebra l’Ultima Cena e l’istituzione del sacramento dell’eucarestia, inoltre c’è la lavanda dei piedi in cui Gesù si dona agli altri. Durante questo giorno le chiese rimangono aperte dal pomeriggio fino a tarda notte per permettere ai fedeli di visitare i “S. Sepolcri” rappresentati da addobbi fatti con fiori, germogli di grano, lenticchie etc. Sono dei bellissimi altari destinati a custodire le ostie consacrate che verranno distribuite nel pomeriggio del Venerdì Santo in cui non si celebra l’Eucarestia. La tradizione vuole che dopo cena i siciliani visitino le chiese aperte per per ammirare i sepolcri, in numero pari a tre, in onore della SS. Trinità. Qualora si decidesse di vederne di più, la credenza popolare suggerisce che sia di buon auspicio vederli in numero dispari, unendo così il sacro al profano. Il venerdì è invece il giorno dedicato alla Via Crucis in cui si commemora il percorso di Gesù Cristo che si avvia alla crocifissione sul monte Golgota. Infine il sabato è il giorno del silenzio nell’attesa della resurrezione.

Dopo queste premesse, da ragazzo mi preparavo in maniera diligente ad affrontare il periodo di penitenza grazie ai momenti di preghiera organizzati in parrocchia ed anche agli incontri settimanali che, a dirla tutta, erano un pretesto per trascorrere del tempo con gli amici. Inoltre, facendo parte della Schola Cantorum, iniziavamo già dal mese di gennaio a preparare quei noiosi canti che sarebbero stati eseguiti nel corso della veglia Pasquale. Inevitabilmente capitava spesso che durante la celebrazione, complice il sonno e l’effetto soporifero della musica, mi cadesse la palpebra addormentandomi davanti a tutti. Anzi per essere precisi dietro tutti, visto che essendo il più alto non stavo mai davanti. Successe così che durante una veglia di Pasqua, ad uno dei miei compagni di coro, anch’esso caduto in letargo, scivolò la mano che reggeva una candela accesa, facendola approdare sulla riccia e folta chioma di un’ignara ragazza seduta una fila più avanti. I capelli le andarono a fuoco e la paura di quel momento, mista alle risate non gradite dai più anziani, ci fecero maturare la convinzione che da lì in avanti, prima di qualunque veglia, avremmo dovuto bere tanto caffè in pietra (ristretto) come facevamo già in occasione del 31 dicembre quando sdraiati in spiaggia attendevamo l’arrivo dell’alba.

A dispetto del noto proverbio, a casa mia non era consuetudine trascorrere il giorno di Pasqua lontani dai parenti, ovvero dai congiunti che al sud sono considerati un po’ come i pidocchi: ti puoi grattare quanto vuoi ma non te li scrolli di dosso! Così come il Natale, anche questa ricorrenza veniva organizzata con notevole anticipo sia nella scelta della location (a turno ogni parente metteva a disposizione la propria dimora), sia nel menù che prevedeva, tra gli altri, l’agnello agglasato con le patate. Considerando che questo armaluzzo (animaletto) mi faceva una gran tenerezza, per evitare che boicottassi il pranzo pantagruelico in cui era prevista anche questa pietanza, da piccolo mio padre mi faceva promettere che non avrei fatto capricci, anche perché gli altri cugini mi sarebbero venuti dietro. Lui cercava di convincermi a mangiarla spiegandomi quanto fosse tenera e dolce quella carne, inculcandomi nella testa che il cibo è sempre una benedizione ed appellandosi alla parte più sensibile del mio essere. Tra l’altro negli anni ottanta era molto in uso che i macellai vendessero gli agnellini appesi alle pareti con la testa rivolta verso giù e queste immagini contribuivano ad allontanare da me la voglia di mangiarli. Io annuivo a mio padre in segno di rassegnazione ma poi di fatto, l’unico agnellino che mangiavo era quello acquistato in pasticceria. Sì, perché in Sicilia esiste un dolce che, pur avendo le sembianze di una pecorella, non contiene alcun tipo di carne e può essere mangiato persino dai vegani! Si tratta di un impasto a base di farina di mandorle inventato dalle suore della chiesa della Martorana a Palermo. Dopo avere ottenuto la pecorella grazie all’utilizzo degli stampi verrà dipinta, decorata e venduta dentro dei recinti o dei piccoli vassoi. Sul capo sarà posto un diadema, sul collo un fiocco rosso e sul dorso una bandiera simbolo della Resurrezione di Gesù. Collocata in posizione accovacciata, verrà poi guarnita con ovetti di cioccolato e decorazioni di ogni tipo. Mio padre me la comprava tutti gli anni ed io aspettavo con entusiasmo e golosità il giorno in cui l’avrei ricevuta in dono.

Subito dopo Pasqua arriva la Pasquetta, in cui si ricorda l’apparizione di Gesù risorto ai due discepoli in cammino verso il villaggio di Emmaus, a pochi chilometri da Gerusalemme. E per ricordare il viaggio dei due discepoli in Sicilia si trascorre questa giornata facendo una scampagnata fuori porta il cui elemento essenziale è l’arrustuta (l’arrostita). Complice il clima più caldo, da ragazzo ci riunivamo nei “villini” degli amici e dopo avere acquistato una quantità non ben definita di carne, cuocevamo sulla classica carbonella la ruota di salsiccia (rotelle di salsiccia al finocchietto e pepe tenute insieme da dei grandi spiedi), la carne di crasto (machio della pecora castrato), i pittinicchi (puntine di maiale), gli spiedini, le bistecche di maiale e se proprio volevamo esagerare anche le stigghiole (budella di agnello oppure capretto ripiene di cipollotti, sale, pepe e prezzemolo). Poi, giusto per non farci mancare niente preparavamo anche i cacuocciuli arrustuti (carciofi alla brace) che venivano fatti sbattendoli con forza su di un piano di lavoro dopo averli privati della base ed averli insaporiti inserendo al loro interno dell’olio condito con del prezzemolo, del sale e del pepe. La carbonella è l’unica modalità di cottura autorizzata in queste occasioni e non esiste comitiva che si rispetti che non abbia un addetto specializzato al suo utilizzo. Lui, con sapiente maestria, non solo riuscirà in una delle imprese a molti impossibile di accendere il fuoco nonostante la presenza del vento, ma attraverso rapidissime ciusciate (sventolate) fatte aiutandosi con un cartone, una paletta oppure vario materiale da riciclo, garantirà una fiamma sempre viva assicurando così la possibilità di arrostire qualcosa durante l’intero arco della giornata. L’allegro pranzo infine si concluderà con la classica cassata siciliana ed una valanga di altri dolci tipici.

Le dinamiche di questo pranzo si ripeteranno anche il 25 aprile, il primo maggio e crepi l’avarizia pure il due giugno. Io amavo molto queste gite e tra una salsiccia, un pittinicchio ed un cacuocciulu, complice il suono di una chitarra, intonavamo i canti dell’appena trascorsa veglia che in quell’occasione era resa più sicura dall’assenza di candele nei dintorni.

Difficoltà

Media

Dosi Per

12 Pecorelle da 200 gr.

Preparazione

1 Ora più il riposo

Cottura

Nessuna

Lista ingredienti

 

1 Kg. di farina di mandorle

 

1 Kg. di zucchero a velo

 

100 gr. di sciroppo di glucosio

 

5 ml. di essenza di mandorla

 

Una bustina di vanillina

 

140 gr. di acqua

Utensili richiesti

 

Stampo in gesso per pecorella da 200 gr.

 

Recinto misura 3 (base 10×15)

 

Bandierine misura 2 (sono le medie)

 

Nodini per pecorelle misura 1

 

Diademi argentati

 

Pennarello rosso e marrone edibile

 

Colore alimentare verde in polvere

 

Colore alimentare marrone in polvere

 

Alcool puro per alimenti

 

Un pennellino

 

Pellicola per alimenti

 

Ovetti di cioccolato

 

Cioccolatini rettangolari

 

Zucchero a velo

 

Succo di limone

 

Sac à poche con beccuccio piccolo

 

Carta forno

 

Vassoi

 

Un paio di guanti per alimenti

Procedimento

1

 

Per preparare l’impasto delle nostre pecorelle pasquali di pasta di mandorle potremo vedere il procedimento a questo link essendo il medesimo per fare la frutta di martorana: https://www.lacucinaditricchitrocchi.it/la-frutta-di-martorana/

 

 
 

2

 

Una volta che l’impasto avrà riposato per circa mezz’ora, prendiamo uno stampo, stendiamo sopra della pellicola trasparente disponendola per bene e tracciandone con un dito i contorni della pecorella soprattutto quelli del muso, inseriamo la punta del panetto iniziando proprio dall’incavo del muso e poi adagiamo la parte rimanente dell’impasto sul resto della forma. Mettiamo sopra dell’altra pellicola trasparente e copriamo con l’altra metà dello stampo pressando per bene. Con la mano facciamo rientrare la pasta fuoriuscita dalla base ed eliminiamo l’eccesso con una spatola. Infine apriamo la forma e con un coltello rifiliamola per eliminarne gli avanzi. Compattiamo con un dito le congiunzioni eliminando le irregolarità. Al posto di utilizzare della pellicola potremo spolverare lo stampo con dell’amido di mais e, una volta tirata fuori la pecorella, elimineremo l’amido in eccesso sempre con l’aiuto del pennello.

 

 
 

3

 

Una volta che avremo creato le nostre pecorelle disponiamole su dei vassoi sopra della carta forno, copriamo con della carta velina e lasciamole riposare in un luogo fresco e asciutto per circa uno o due giorni.

 

 

4

 

A questo punto siamo pronti per la decorazione. Con un pennarello alimentare marrone faremo gli occhi, con quello rosso le narici e la bocca ed infine con gli appositi colori in polvere diluiti in parti uguali con qualche goccia d’acqua e alcool puro faremo con il marrone molto liquido delle macchie sul manto tamponandolo delicatamente con un pezzetto di spugna e con un marrone più intenso gli zoccoli. Infine con un rosa pallido dipingeremo l’interno delle orecchie.

 

 
 

5

 

Adesso mettiamo dello zucchero a velo dentro ad una tazza, aggiungiamo qualche goccia di limone e mescoliamo fino ad ottenere una glassa ben lucida e morbida. Facciamone cadere qualche goccia sul capo in modo da fare aderire il diadema e poi sul collo facendo aderire il fiocchetto.

 

 

6

 

Facciamo scivolare della glassa sulla base della nostra pecorella e collochiamola dentro al recinto facendola aderire alla base. Conficchiamo sul dorso la bandierina e aggiungiamo del colore verde in polvere dentro la rimanente glassa che inseriremo dentro ad una sac à poche. A questo punto distribuiamo quattro mucchietti di glassa colorata sulla base del recinto a cui adageremo, alternandoli, un cioccolatino rettangolare ed un ovetto.

 

 
 

Utile da sapere!

Potremo conservare le nostre pecorelle per qualche giorno impacchettandole dentro a della carta trasparente e infiocchettandole con del nastro rosso qualora volessimo fare un regalo. Nel caso in cui non avessimo le formine a disposizione potremo divertirci a creare le nostre pecorelle pasquali di pasta di mandorle facendo dei cilindri di varie misure e poi assemblandoli insieme. Con un cilindro più grande e panciuto faremo il corpo, con uno più piccolo e affusolato la testa e le orecchie e con dei cilindri più sottili le gambe. Infine con il cartoncino e dei pezzetti di stoffa faremo le decorazioni. Concluderemo adagiando la pecorella su un vassoio oppure un recinto in cartone disegnato dai nostri bambini ed attaccando dei cioccolatini. Nel caso in cui non avessimo a disposizione la farina di mandorle potremo prepararla in casa frullando delle mandorle già pelate. Il glucosio potrà essere sostituito con del miele liquido.

Foto e ricetta di Patrizio Zannelli
https://www.lacucinaditricchitrocchi.it/