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01Che il canone RAI fosse una tassa sibillina, lo sapevamo già, ma da quando è stata inserita nelle bollette della luce, le ragioni per pagarla sono diventate anche più torbide e sgradevoli.

È partita al pari di quella della BBC, come tassa sui servizi, poi si è evoluta ed è improvvisamente diventata ‘la tassa di possesso sul mezzo televisivo’.
Il canone aveva un senso quando pagarlo significava poter ricevere il segnale, poter guardare una tivù che era l’unica presente sul mercato.

Poi è arrivata la tivù privata, la liberalizzazione delle reti, gli anni Ottanta, e la RAI come la BBC ha dovuto chiamare i rinforzi. Ma ora, data la pubblicità, quasi al pari di quella che si vede nelle tivù private, com’è possibile che la RAI non ce la faccia?

Colpa della digitalizzazione, controbattono dai piani alti, e dunque ora, per stare al passo coi tempi, la tassa di possesso del mezzo dev’essere pagata da qualsiasi mezzo che proprio di quella tanto agognata digitalizzazione, gode, quindi da gennaio 2015 l’imposta verrà saldata con la luce. Un provvedimento che quanto meno permette di contenere la spesa, che non sarà sulla base dell’imposta sulle persone fisiche, come si era detto un mese fa, ma uguale per tutti. Un’imposta, da cui ci fanno la santa grazia poi di escludere la seconda casa. Ci sarebbe da essere contenti, e invece no.

Ma basta? L’idea che una tassa così arcaica debba ancora esistere, fa ancora più rabbia quando a pagarla dovranno essere anche i nostri smartphone e tablet, che si vanno ad aggiungere a computer, radio, tivù. Quindi non è più una tassa sul possesso del mezzo televisivo, è diventata una tassa sulla possibilità di collegarsi a Internet.

Essì perché la questione deriva dal fatto che, con Internet, la RAI è visibile anche in formato mobile. Quando basterebbe una sorta di divieto alla visione, la visione tramite pagamento di obolo, o la visione dopo un controllo incrociato automatico dei dati di pagamento, come fanno anche YouTube (ma solo sulla base dei dati di gelocalizzazione per la quesitone relativa ai diritti di visione), e altri siti telematici dedicati allo streaming come Netflix e Fox.

Insomma in sostanza il canone è più una scusa, per una RAI che ormai annaspa e che francamente non solo non offre più un servizio imparziale ma nemmeno un servizio pubblico. Ed ecco quindi la novità: da gennaio 2015 verrà inserito a forza nella bolletta della luce, visto che è la tassa più evasa d’Italia. Ma siamo sicuri che non ci siano gli estremi per evaderla? Tanto per cominciare, i termini in cui ci è sempre stata proposta (sulla tivù non bastava l’IVA?) e adesso, le maniere rocambolesche in cui vorrebbero infilarcela in gola a forza come una vecchia medicina che sa di marcio però fa bene (che pagarla con la luce sia improprio, lo hanno detto già il fior fiore di imprenditori e specialisti).

Per quanto riguarda l’intrattenimento, sono solo alcune le proposte culturalmente interessanti; per il resto, il grosso della competizione si combatte tra Sky, Internet e Premium, ultimo baluardo della RAI a pagamento rimane, forse, ancora lo sport.
«È per recuperare l’evasione, per cui siamo tra i primi in Europa. Questa situazione non è più tollerabile», questa la giustificazione del sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli a cui si deve la proposta del noto emendamento, eppure il canone è già stato abolito in ben 14 Stati europei e in una parte del Belgio; in Francia, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia, dove il canone ancora si paga, non esiste pubblicità.

Autore | Enrica Bartalotta