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Tra la Sicilia e il sale esiste un rapporto strettissimo. Un tempo il sale era come l’oro, veniva usato come moneta di scambio e si utilizzava per pagare: non per niente si utilizza il termine salario. Nel cuore della Sicilia c’è un fiume che si chiama Salso, “salato”, a ulteriore dimostrazione del legame: passa dentro una serie di canyon e caverne, al centro dell’isola. A Petralia, a Realmonte, a Racalmuto: tante le miniere. Proprio Racalmuto ha un grande teatro sotterraneo fatto di sale. Ancora, c’era un’altra miniera di salgemma, a Pasquasia, tra Enna e Caltanissetta.

Quando si dice sale, poi, non si può non pensare alle saline del Trapanese, allo stagnone, a Marsala. Al di là di quello che si vede in superficie, c’è un mondo sotterraneo. Bisogna andare indietro nel tempo, a milioni di anni fa, quando il Mediterraneo si tramutò all’improvviso. La salinità delle acque cambiò e attraverso sollevamenti tettonici, le erosioni e i terremoti è uscito il prezioso sale di Petralia.

Foto di Giusy Mannone -Saline Ettore Infersa

Foto di Giusy Mannone -Saline Ettore Infersa

Si tratta di una miniera unica nel suo genere, a 1100 metri di altezza. Ci sono oltre quaranta chilometri di cunicoli, in un vero e proprio labirinto. Si fanno buchi nei fianchi della montagna, si mette abilmente l’esplosivo nei fori e si scrollano pazientemente le parti di sale che la dinamite non riesce a buttare giù. Si carica tutto sul camion.

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In passato la domanda di sale siciliano era elevatissima: nel Settecento crebbero a dismisura le esportazioni verso il nord dell’Europa, poi ci si aprì al mercato americano. Nel primo Novecento si toccò l’apice del flusso commerciale del sale siciliano, con numerosi investimenti. Purtroppo negli anni Cinquanta arrivò il declino, a causa dei processi di globalizzazione e delocalizzazione.

Foto: Walter Lo Cascio

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