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01Le frattaglie sono una componente tipica della nostra cucina. Dopo essere entrate ormai a far parte della cultura di massa, esse derivano, quasi sicuramente, da quelle che sono le nostre antiche tradizioni contadine.

L’abitudine di mangiar frattaglie potrebbe derivare addirittura dalla Preistoria, quando ci si procurava il cibo cacciando; sicuramente i primi ominidi non disdegnavano le interiora, che oltre ad essere saporite sono anche particolarmente nutrienti.

Abbastanza sicuramente, i piatti a base di frattaglie derivano dalla nostra antica tradizione contadina, quando la carne era presidio dei ricchi mentre le interiora potevano essere mangiate da tutti.
In Sicilia, a Palermo, c’è una tradizione che risale addirittura al periodo in cui l’Isola era una colonia greca, e viene portata avanti ancora oggi nei più antichi e storici mercati della città.

È l’arte di mangiare il ‘quarume’, una pietanza calda a base di frattaglie bovine, insieme a verdure bollite, brodo e cipolle. Sui banchi dei più noti ‘quarumaru’ di Ballarò e della Vucciria, lo storico mercato dipinto dal Guttuso, svetta infatti la gran pentola, quella dove vengono conservati al caldo i preziosi ingredienti: u’ zzinieru, ovvero il duodeno del bovino, l’uòibba, la sua parte finale, ‘u vurieddu ri cura e u cularinu, il retto e l’ano, ‘u centupieddi, il secondo stomaco, ‘u quagghiaru, altro budello, in particolare un’altra cavità dello stomaco dei ruminanti, ‘u vacciminu, la parte grassa e callosa sita sotto lo stomaco e, naturalmente la trippa.

Forse sarebbe meglio non sapere cosa il ‘quarume’ contiene, eppure chi lo ha provato conferma quanto sia squisito. Presso i banchi del Capo e nei pressi della chiesa del Carmine Maggiore, i ‘quarumaru’ più famosi servono le interiora su un piatto di plastica o su un foglio di carta oleata, levandoli fumanti dalla grande pentola, e facendoli a pezzi della grandezza desiderata.

A Porta di Termini si vendono anche le teste di capretto bollite, mentre in via Chiappare al Carmine le frattaglie vengono vendute crude per i clienti che preferiscano cuocerle a casa, magari con le patate.
Il piatto di frattaglie più famoso in Italia è sicuramente la trippa: cucinata dal Lazio alla Toscana, dalla Lombardia alla Sardegna, è il piatto più rappresentativo del centro-nord d’Italia.
Ma al Nord si mangia anche il cervello, fritto, come ad esempio in Toscana, dove lo arricchiscono usando la fontina, già dal VI secolo.

Molto apprezzato è anche il fegato, sia in Lombardia che in Campania; da non dimenticare poi i rognoni, quella parte di cosiddette interiora rosse che vengono particolarmente amate persino in Inghilterra e in Svezia, soprattutto se derivanti da agnello o vitello.
Ma stomaco e intestini vengono utilizzati anche in alcune zone della Grecia e della Spagna, a conferma, probabile, della nostra comune radice indoeuropea.

In buona parte della Spagna e in alcune zone dell’America Latina, si prepara infatti un noto insaccato, che nella Penisola Iberica, da dove deriva, è noto con il nome di ‘morcilla’, piatto simile al Blutwurst tedesco. La più nota morcilla è quella di Burgos, ma esiste anche una versione particolarmente nota creata a Jaén, definita ‘bianca’; altro non è che il sanguinaccio: in Spagna è composto da sangue coaugulato di maiale con riso, cipolla e altri ingredienti come zucca, mollica di pane, pinoli, nocciole e pepe, tutti ben infilati nel suo budello.

In Calabria, il sanguinaccio è a base di sangue di maiale e vino cotto o ricotta, mentre in Lombardia e Piemonte si usa mescolarlo a patate e spezie, e prende il nome di ‘marzapane’. In Campania si ama preparare il sanguinaccio in una versione fortemente dolce e speziata con buccia d’arancia, cacao, pinoli e uva passa, mentre in Toscana lo si apprezza meglio con un po’ di finocchietto selvatico. In Liguria, oltre ai pinoli, si aggiungono anche latte e sale.

Autore | Enrica Bartalotta