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Rivolta dei migranti a Palermo questa mattina. È scoppiato il caos nel centro Araba Fenice in corso del Mille. Nella struttura che accoglie 54 minori, gli ospiti si sono barricati dentro e non hanno permesso agli educatori di uscire. Con l'arrivo delle forze dell'ordine i migranti hanno lasciato entrare gli agenti e i militari e gli educatori sono usciti. I minori lamentano il mancato pagamento della diaria e un trattamento non idoneo. Poche docce, poco cibo e niente medicine. Scarsa l'assistenza sanitaria. Tutte rivendicazioni che vengono respinte degli operatori e dai responsabili del centro.

La struttura accoglie giovani immigrati, di 17 anni al massimo, provenienti per lo più da Gambia, Nigeria e Costa d'Avorio. La protesta è iniziata stamattina, dopo la colazione, al termine della quale hanno chiuso il cancello all’ingresso e si sono barricati dentro. "Si comportano così solo perché sanno di poterselo permettere. Arrivano qui fomentati dalle loro stesse famiglie, che gli fanno credere di potere avere di tutto, denaro e diritti. Per questo gli dicono di spaccare e bruciare tutto. E se oggi gli diamo un dito, per quello che possiamo, domani pretenderanno la mano. Mi sono sentito dire anche 'sei un nostro schiavo', e questa la considero una sconfitta del sistema", spiega uno dei volontari, Leo Ricciardi, a "PalermoToday". 

Gli immigrati sono di tutt'altro avviso: "Non ci danno cibo oppure ci portano la carne di maiale. Ma noi siamo musulmani e non possiamo mangiarne. Ci negano anche acqua, vestiti e scarpe – spiegano mostrando i buchi sotto le loro ciabatte – Non ci permettono di telefonare alle nostre famiglie. La maggior parte di noi li ha potuti sentire appena arrivati a Palermo. Ora sono quasi due mesi che non riusciamo a chiamarli".

Alla base della protesta anche le condizioni della struttura, sistemata in fretta e furia per fronteggiare l’emergenza. "Dormiamo in quattro per ogni stanza, alcuni bagni sono in condizioni pessime, armadi e letti sono distrutti. A questo si aggiunge il trattamento: chiediamo l’intervento di medici e ci rispondono sempre 'domani', chiediamo paracetamolo e creme ma non ci vengono date". Secca la replica di uno dei volontari: "Si lamentano di tutto perché non sanno come funzionano le cose qui. Abbiamo già dato loro 40 schede internazionali, ma provvedere per tutti richiede tempo. Neanche il gestore telefonico era preparato per fornirci così tante utenze, che tra l’altro vanno intestate direttamente a loro, che spesso non hanno neanche una identità". Diametralmente opposto il racconto di chi là dentro ci lavora, come Airò Farulla.

"Ricevono un trattamento adeguato, soprattutto se si considera che stiamo lavorando senza risorse. Abbiamo debiti con il catering che si occupa di portare loro da mangiare ogni giorno, non ci viene rimborsato nulla, dalla benzina ai soldi che spendiamo per loro. Se hanno vestiti e scarpe (ed effettivamente si scorgono decine e decine di paia di scarpe sugli armadi, ndr) lo devono al nostro impegno e alla solidarietà mostrata da tanti cittadini. A ciò si aggiunge la mancanza della diaria, perché di fatto al momento non arrivano fondi dal Ministero. Non vogliamo però che passi un’idea fuorviante sui migranti. La maggior parte di loro sono bravi ragazzi, che apprezzano il nostro sforzo, ascoltano e si rendono conto della situazione. Ognuno di noi fa quel che può: c’è chi li ha portati alla fiera per farli svagare, chi in moschea e chi si spacca la schiena per garantirgli una vita dignitosa sino al loro trasferimento".