Sei su Telegram? Ti piacciono le nostre notizie? Segui il canale di SiciliaFan! Iscriviti, cliccando qui!
UNISCITI

01A est della valle dei Margi sorgeva il cosiddetto lago Naftia, sull’altura basaltica di Rocchicella, nei pressi dell’area in cui venne fondata l’antica città sicula di Palikè, oggi all’interno delle competenze del comune di Mineo, in provincia di Catania.

Sulle rive della formazione lacustre pare fosse stato edificato uno dei più importanti edifici di culto di epoca sicula: il Santuario dei Palici. Il lago, composto da due specchi d’acqua quasi identici, venne infatti definito con il nome di Naftia, a causa delle sue potenti esalazioni di gas che giungevano dal centro della Terra, e che causavano la morte di diverse specie animali; il continuo ribollire ed agitarsi delle acque, diede vita alla leggenda che narrava della nascita dei Palici. I Palici non erano altro che due gemelli, figli del dio Adrano e della ninfa Etna, il cui mito fu ideato dagli antichi Greci che non si sapevano spiegare il curioso fenomeno che interessava il lago, giunto a noi grazie alle documentazioni e illustrazioni degli storici del tempo, tra cui anche il Diodoro Siculo. Secondo gli storici Romani, i due gemelli erano figli della ninfa Talia e di Zeus, che la seppellì sottoterra, così che potesse partorire in pace, lontana dalle ire di Era, la gelosa moglie di Zeus; le frequenti ebollizioni delle acque del lago, non erano dunque altro che i tentativi della ninfa di portare alla luce i suoi figli.

Non passò molto tempo che sulle rive del lago venne subito costruito un Santuario dagli oscuri rituali legati allo spergiuro e ai sacrifici umani. Durante la trentaseiesima Olimpiade (632 a.C.), Antigono scriveva che quando ad Atene governava Epeneto, in Sicilia fu eretto un edificio in cui chiunque entrasse, se di buona salute, sarebbe morto se solo avesse provato a chinare il capo verso il basso; ma se si fosse tenuto dritto, avrebbe potuto camminare senza che gli venisse torto un capello. Secondo l’ipotesi portata avanti dall’abate Francesco Ferrara, il luogo di culto venne edificato al di sopra dei crateri, un’ipotesi avvalorata dallo storico Fazello, che nel Cinquecento visitò la zona.
Di quest’antica struttura non si sa molto, dal momento che oggi l’area è di proprietà privata, si suppone però che il tempio fosse piuttosto imponente e particolarmente ricco di decorazioni magnificienti.

Della sua struttura parlò anche il Diodoro Siculo come uno degli edifici più imponenti e maestosi dell’intera zona e della Sicilia: si narra che fosse formato da logge e da antichi porticati; tra le sue mura, si svolgevano processi le cui sentenze si risolvevano con il sacrificio del colpevole. In particolare, al condannato si richiedeva la trascrizione, su tavolette in pietra, del proprio misfatto. Se la persona si ritrovava ad essere innocente, la tavoletta, gettata nei laghetti, galleggiava, se invece la persona si era macchiata di spergiuro, affondava. In caso si spergiuro, si diceva che gli dèi avrebbero punito il malcapitato avvolgendolo nelle fiamme; i sacerdoti disponevano dunque, per lui, l’eterno riposo presso i fondali del lago mefitico, oppure la cecità; fu probabilmente da qui che nacque la convinzione, persistente fino all’epoca moderna, secondo la quale giurare il falso fa diventare ciechi.
Altri studiosi, presumono invece che i culti dei Palici fossero legati ad una sorta di atto purificatorio; i colpevoli dovevano infatti presentarsi con indosso solo una sorta di tunica, una corona di foglie verdi in testa e in mano un rametto colto dal vicino bosco sacro, e così sistemati, presentarsi al cospetto del sacerdote, che li conduceva dinnanzi ai crateri con le braccia lunghe verso la riva e la testa chinata in avanti. Se fossero stati innocenti, i Palici li avrebbero risparmiati, altrimenti sarebbero caduti nelle loro acque.

Dei sacrifici collegati al culto dei Palici parlò anche Virgilio nell’”Eneide”. Dalla sua descrizione si evince però che presso il Santuario non venivano più effettuati sacrifici umani; probabilmente i colpevoli venivano già puniti soltanto adottando solo l’atto dell’accecamento.
Secondo gli studi di Emanuele Ciaceri, la struttura divenne anche noto luogo di pellegrinaggio per via di un’antica leggenda risalente all’epoca dei Siculi. Si dice infatti che avesse anche funzione di Oracolo; in pericolo di carestia, i Palici chiesero ai Siculi di effettuare sacrifici in nome dell’eroe Pediocrates, al termine dei quali furono in grado di raccogliere, presso l’altare, ogni genere di prodotto agricolo.

Le diverse ipotesi e documentazioni storiche, presumono che l’edificio venisse anche utilizzato come luogo d’asilo, ovvero struttura tra le cui mura potevano trovare riparo tutti i servi che venissero maltrattati dai propri padroni. Una struttura che funzionava come una vera e propria ambasciata: il padrone non poteva infatti mettervi piede, a meno che non avrebbe giurato, davanti ai Palici, di trattarlo da quel momento in poi con benevolenza e rispetto.
Le indagini effettuate dalla Soprintendenza dei Beni Culturali di Catania, hanno portato alla luce due strutture: una risalente al VII sec. a.C., e una, lunga all’incirca 25 metri, databile alla fine del V secolo a.C. Il secondo edificio, realizzato come il primo in pietra di arenaria, fu arricchita da eleganti modanature, e per questo motivo si presume potesse effettivamente un luogo di culto. Da quest'arca si raggiunge, tramite una scala intagliata nella roccia, l’antica acropoli di quella che probabilmente era la città sicula di Palikè, insediamento nato per mano di Ducezio in persona, re dei Siculi, come atto di ribellione alla dominazione greca del V secolo a.C. Dell’antico centro abitato, restano ancora oggi le tracce della cinta muraria costruita nella parte orientale.

Oggi il lago non è più visibile, ma le sue esalazioni sono state intercettate da Mofeta dei Palici S.p.A., un’azienda specializzata nella realizzazione di ghiaccio secco, per il trasporto e la conservazione dei gelati, e per il processo di gasatura di acque minerali e bibite.
Nei pressi è stata installata anche una zona di monitoraggio dei gas; altre nove sono distribuite alle pendici dell’Etna.

Autore | Enrica Bartalotta