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250080_10150282193049505_7132597_nOggi, come ho avuto già modo di dire, chiunque nasce e vive in Italia è di madrelingua italiana.
Ma un po’ di anni fa non era così: infatti i dialetti e le lingue regionali, specie nei piccoli centri, erano talmente usati, da rappresentare la vera e propria lingua madre, quella che il bambino fa propria mentre ancora è nel seno della mamma e che lo caratterizzerà per tutta la vita.
Io posso dire di essere nata proprio nel momento di transizione….In città,  sia in casa che nei luoghi pubblici,  tutti usavano ormai l’italiano. 
Anche nei piccoli centri , i genitori, ormai per la maggior parte alfabetizzati, cercavano di insegnare  ai loro piccoli le paroline canoniche in perfetto italiano, e la radio, i libri, i giornali (allora andavano forte i fotoromanzi) li supportavano in questo compito…insomma la madrelingua italiana cercava di affermarsi  in tutti i modi.
Ma ii bambini di paese, a differenza di quelli di città, continuavano a vivere in un mondo esterno che comunicava ancora soprattutto in siciliano: per la strada, nelle “putii”, con amici e parenti e, addirittura, a scuola, si parlava siciliano … e il loro cervellino tendeva disperatamente ad adeguarsi alla forma di comunicazione che desse loro più possibilità di inserirsi nel mondo che li circondava. 
Da questi input contrastanti era venuto fuori un siciliano, che  non era più quello  dei tempi passati, ma non era ancora italiano…era un siciliano “ pulitu”, fortemente condizionato dalla lingua nazionale… un siciliano che, con un’espressione moderna  potremmo definire: “ siciliano  in”.
A casa mia per esempio erano assolutamente bandite le parolacce che spesso venivano sostituite da sinonimi.
Ecco alcuni esempi:
Camurria (seccatura, scocciatura) diventava “siccatura”
Minchia ( espressione che tutti considerano tipicamente siciliana ma che invece viene dal francese “mince”) si trasformava in “ mizzica, misca” o anche più brevemente “mi”
Disgraziatu ( che in siciliano non indica una persona che ha avuto delle disgrazie ma significa “tipaccio, cattivo soggetto”)si cambiava in “cosa tinta” o qualche altra locuzione di analogo significato…
Ma non erano solo le parolacce ad essere considerate “aut”, tante altre parole venivano bandite dalla parlata “in”.
 
Ecco un elenco di antiche parole siciliane nella loro forma “aut”  e “ in”:
ITALIANO           SICILIANO “AUT”          SICILIANO “IN”
Alcool spirdu spiritu
arrabbiarsi ‘ncazzarisi  arrabbìarisi
bambina addreva  picciliddra, picciriddra, picciddra…”
bicarbonato cravunatu bicarbunatu
cadere, ruzzolare arramazzarisi, allavancarisi  càdiri
carta assorbente asciucamacchi  carta assorbenti
cioccolata ciccolatu cioccolatu
cugino/cugina  frateddru/surreddra cuscinu/a
defecare cacari  fari la cacca
Forchetta burcetta furchetta
formaggio pecorino tumazzu caciu
inchiostro gnostru ‘nchiostru
la caramella lu carameli  la caramela
mamma ma’  mamà, o meglio, mammì
orinare pisciari fari la pipì
papà  pa’ papà
resta lì mòviti ddrocu arresta ddrocu, sta fermu
saziarsi o, in modo 
figurato, seccarsi abbuttarisi sazìarisi, stuffarisi
svegliarsi addrivigliarisi   arrisbigliarisi
pomodoro pumadamuri o pudamuri pumadoru
olive agulivi  olivi
tovaglia da tavola o
strofinaccio trubeli tuvaglia/mappina
un poco tecchia tanticchia
zia/zio zza'/zzu' zzia/zziu
zuppa panammoddru suppa