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Viola Di Grado, chi è la scrittrice, orientalista e traduttrice siciliana. Biografia e carriera: dove è nata, quanti anni ha, cosa ha scritto e che premi ha vinto. I suoi romanzi e i riconoscimenti, cosa fa oggi. Tutte le curiosità.

Viola Di Grado

Viola Di Grado nasce a Catania, il 4 giugno del 1987, quindi nel 2023 compie 36 anni. È figlia della giornalista e scrittrice Elvira Seminara e del critico letterario Antonio Di Grado. Si laurea in filosofie dell’Asia Orientale alla University of London.

Il suo romanzo d’esordio è “Settanta acrilico trenta lana” (Edizioni e/o, 2011): lo scrive quando ha a 22 anni e vince il Premio Campiello Opera Prima per “l’invenzione linguistica spinta fino alla visionarietà”. Riceve anche il Premio Rapallo Carige Opera Prima ed è tra i dodici finalisti del Premio Strega. Il suo libro è tradotto in 10 Paesi.

Cosa ha scritto?

​Nel 2012, Di Grado è tra i 10 romanzi più venduti negli Stati Uniti secondo la classifica del Marin Independent Journal. Il suo secondo libro esce un anno dopo, nel 2013, e si intitola “Cuore cavo” (Edizioni e/o, 2013). Riceve la Civitella Ranieri Fellowship per lavorare al suo terzo manoscritto. Viola Di Grafo è anche tra gli autori prescelti per l’apertura del Vancouver Writers Fest.

Esce nello stesso anno “Il Superuovo” (Feltrinelli – Zoom, 2013) e la scrittrice è inclusa tra “gli scrittori più rappresentativi degli ultimi decenni” negli “esempi d’autore” del Dizionario Garzanti 2013. Arriva nel 2014 un nuovo riconoscimento per “Settanta acrilico trenta lana”, tra i finalisti dell’International IMPAC Dublin Literary Award.

Due anni dopo, “Cuore cavo” è tra i cinque finalisti del PEN Literary Award. Sempre nel 2016, in seguito all’acquisizione di RCS Libri da parte di Mondadori, Di Grado decide di rompere il contratto appena firmato con Bompiani. Segue Elisabetta Sgarbi ed Umberto Eco nel loro nuovo marchio editoriale, “La nave di Teseo“, creato per sostenere la libertà e pluralità della letteratura.

Esce così nell’aprile dello stesso anno “Bambini di ferro” (La Nave di Teseo, 2016). Si tratta di un romanzo distopico ambientato in un Giappone del prossimo futuro, in “un mondo in cui il gesto d’affetto non è più spontaneo, deve essere ricreato artificialmente. Un mondo dove l’amore viene affidato a dei dispositivi, solo loro in grado di fornirlo”.

Lavori recenti

Tre anni più tardi, nel 2019, Viola Di Grado pubblica “Fuoco al cielo“, ispirato ad un fatto di cronaca che ha disorientato il mondo: “Serviva la penna di Viola Di Grado –  commenta Fabrizio Ottaviani su Il Giornale – per raccontare una delle vicende più atroci del Novecento, quella delle ventotto ”città segrete” sovietiche contaminate dalle radiazioni”.

​Nel 2020 la scrittrice traduce “Non morire” di Anne Boyer, vincitore del premio Pulitzer per la saggistica. Collabora dal 2021 con Vanity Fair e con Domani. È del 2022, invece, “Fame blu”, i cui diritti di traduzione vengono venduti in Inghilterra, America, Spagna, Germania, Brasile ancor prima della pubblicazione in Italia.

Stile di Viola Di Grado

Due dei temi principali trattati da Di Grado sono l’incomunicabilità e l’alienazione. Li esplora attraverso una ricerca linguistica che si avvale di “sottili smottamenti anaforici” e ricorre a una moltitudine di linguaggi simbolici, tra cui quello delle scritture ideografiche. Nel corso di un’intervista su Fahrenheit su Radio Tre, Viola Di Grado afferma di voler “dimenticare il linguaggio” e cita il filosofo cinese taoista Zhuangzi: “Il linguaggio è una trappola per pesci: quando hai preso i pesci devi dimenticare la trappola”.

Cuore cavo racconta la vita di una venticinquenne dopo il proprio suicidio: Di Grado riferisce di aver voluto esplorare la perdita dei confini dell’io e di aver voluto abbattere la barriera che separa vita e morte nelle culture occidentali, presentando la morte “non come evento, ma come quello che in realtà è: un processo”.

La “chirurgia antiestetica” (l’atto della protagonista di Settanta Acriilico Trenta Lana di tagliare vestiti e ricomporli con l’intento di deturparli) è invece uno dei filoni simbolici del primo romanzo. In un’intervista rilasciata a El País, la scrittrice spiega che l’atto rappresenta “una ribellione non solo contro il concetto di moda ma in genere contro la possibilità di condividere qualsiasi tipo di identità“.

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