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La mafia nigeriana era molto violenta. I retroscena emersi in seguito all'operazione "Black Axe" per certi versi sono agghiaccianti. "PalermoToday" racconta di un uomo che è stato violentato per tutta la notte con un tubo di ferro. Anche per le donne che rifiutavano di prostituirsi le violenze, sessuali e non, erano all'ordine del giorno. Il rispetto delle regole dell'organizzazione era garantito dal suo braccio armato: "Bucha", o picchiatore.

Le indiscrezioni sulle attività dell'organizzazione criminale transnazionale parlano di una struttura gerarchica simile a quella di uno stato nazionale. Le figure al vertice facevano riferimento alla tipica nomenclatura delle cariche istituzionali, come ministro della Difesa e Consiglio dei Saggi, le sue ramificazioni, che si estendevano nei singoli Stati, avevano il nome di "Zone", e i singoli distretti cittadini venivano chiamati "Forum".

Tra gli arrestati c'è anche il capo della base italiana dell'organizzazione, chiamato "Head della Zone", prima carica formale dell'associazione criminale, e il "Ministro della difesa", quarta carica principale a livello nazionale. Quest'ultimo ruolo era stato affidato al 22enne Kenneth Osahon Aghaku. L'uomo gestiva le punizioni dei disobbedienti ed il coordinamento di tutte le attività esecutive come la protezione dei membri, in stretto contatto con il vertice della "Zone" e con i membri di spicco dei vari "forum" italiani. 

Altri dettagli importanti riguardano la relazione tra "Black Axe" e la mafia palermitana. Il procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci, spiega come la mafia tollerasse le attività dei nigeriani che operavano nel quartiere di Ballarò: "Cosa nostra ha consentito ai nigeriani di organizzare una struttura subalterna alla mafia. Loro erano tollerati a patto che non uscissero dal loro 'perimetro' di appartenenza". E Giuseppe Longo, questore di Palermo, aggiunge: "Cosa nostra consente a questa organizzazione di sopravvivere nel territorio. E la mafia siciliana anzi, ne trae vantaggio. Si tratta di rapporti improntati sul 'do ut des'. Basta non superare certi limiti: questo succede anche altrove, basta non dimenticare la strage di Castelvolturno". Sembra infatti che nelle indagini svolte dalla mobile sulle attività dei numerosi "Forum" sparsi in Italia si sia distinto soprattutto quello di Palermo.