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Sotto un'unghia di Noemi Durini, la 16enne uccisa nel Leccese nel settembre scorso, è stato trovato il Dna del fidanzato Lucio. Noemi fu ritrovata sotto un cumulo di pietre nelle campagne di Castrignano del Capo, e del delitto si era auto-accusato proprio Lucio, all'epoca dei fatti 17enne: poco tempo dopo il delitto, però, aveva ritrattato la sua confessione e accusato un meccanico salentino.

Dopo la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini della Procura minorile, Lucio risulta l'unico indagato. È accusato di omicidio volontario con le aggravanti di aver commesso il fatto con premeditazione, per motivi abietti e futili e di aver agito con crudeltà. Secondo quanto emerse dall'autopsia, Noemi fu seppellita viva sotto un cumulo di pietre e morì asfissiata dopo essere stata picchiata, probabilmente a mani nude, e successivamente accoltellata alla nuca. 

Il Dna di Lucio è stato rilevato dalla perizia dei carabinieri del Ris sui reperti sequestrati, depositata presso la Procura per i Minorenni di Lecce. Per gli investigatori è stato impossibile risalire a eventuali e ulteriori tracce di Dna, anche per via dello stato dei luoghi e del tempo trascorso prima della scoperta del cadavere, avvenuta solo dopo 10 giorni dal delitto. In quei giorni pioggia e caldo si sono susseguiti e hanno cancellato ulteriori, possibili tracce.

Nell'inchiesta parallela a quella della Procura minorile, e condotta dalla Procura ordinaria, resta ancora aperto il fascicolo in cui risultano indagati, come atto dovuto, il padre di Lucio per sequestro di persona e concorso in occultamento di cadavere, e Fausto Nicolì, il meccanico 49enne di Patù tirato in ballo da Lucio in una lettera scritta nel carcere sardo (dove il giovane è detenuto) come unico autore del delitto.