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Gli Acroliti di Morgantina sono due delle opere più affascinanti prodotte dalla civiltà della Magna Grecia. Si tratta di due acroliti delle dee greche Demetra e Persefone, madre e figlia, ritrovati a Morgantina (Enna). La storia del loro ritrovamento è complessa e avventurosa e passa anche dagli Stati Uniti.

Il termine acrolito indica un tipo di statua che presso gli antichi greci veniva modellata solo nella testa, nelle braccia o mani e nei piedi, utilizzando pietra, marmo o avorio. Il resto della statua veniva realizzato con materiale meno pregiato e deperibile, come il legno, poiché aveva solo funzione di sostegno. La struttura veniva rivestita con panneggi reali in tessuto e veniva esposta al culto dei fedeli, nel templi.

La scoperta

Adesso è possibile vedere gli Acroliti di Morgantina al Museo Archeologico di Aidone, ma non è stato facile farli tornare in Sicilia. Questi elementi, infatti, furono rivenuti nell’estate del 1979. Si disse che a trovarli furono alcuni scavatori clandestini, in contrada S. Francesco Bisconti, dove in autunno vennero avviati alcuni scavi, senza trovare riscontri. Dalla ricerca, però, emersero le prime strutture di un grande santuario dedicato a Demetra.

Il ritrovamento negli Stati Uniti

Qualche anno dopo a New York, fra i collezionisti di arte, si diffuse la notizia dell’acquisto, da parte di un misterioso personaggio, di elementi di statue in marmo di età arcaica. Grazie ad un membro della missione archeologica americana di Morgantina, Malcom Bell, le sculture furono identificate nel 1986, durante una loro temporanea esposizione al Paul Getty Museum di Malibu, in California. Determinante fu la testimonianza di chi le aveva viste ad Aidone, subito dopo il rinvenimento.

Nel 1987 Bell consegnò le fotografie all’allora soprintendente di Agrigento, Graziella Fiorentini, consentendo l’avvio delle immagini. Di fronte alla denuncia della Procura di Enna, il museo americano restituì in fretta e furia le opere al collezionista di New York. Tra il 1988 e il 1989, le indagini del Procuratore di Enna, Silvio Raffiotta, riuscirono ad identificare i testimoni che avevano visto le sculture subito dopo lo scavo, gli intermediari che le avevano trattate sul mercato clandestino, l’antiquario di Londra, Robin Symes, che le aveva vendute e il collezionista miliardario Maurice Tempelsman, noto anche per essere stato l’ultimo compagno di Jacqueline Kennedy Onassis.

Il ritorno in Italia

Nessun esito, tuttavia, sortirono le trattative condotte dal Ministero dei Beni Culturali con l’attiva partecipazione del Comitato Interministeriale per la Restituzione delle Opere d’Arte. Nel 2002, Maurice Tempelsman ha donato le sculture al Bayly Art Museum dell’Università della Virginia, vincolando il lascito al rispetto di due condizioni: l’assenza di pubblicità sulla donazione e sul nome del donatore e il divieto di restituire le opere all’Italia prima di cinque anni.

All’inizio del 2008, decorso il periodo imposto dal donatore, l’Università della Virginia, dopo il primo e unico convegno dedicato alla presentazione delle sculture, ne ha curato la restituzione all’Italia.

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