Dietro la croccantezza dorata di un cannolo siciliano si nasconde un racconto che attraversa i secoli. Non è solo un dolce: è il risultato di contaminazioni culturali, spirituali e sensoriali. Secondo quanto racconta in un interessante approfondimento il National Geographic, le prime tracce di questo dessert risalgono all’epoca della dominazione araba in Sicilia, tra il IX e l’XI secolo.
Una leggenda affascinante vuole che il cannolo sia stato ideato da un gruppo di donne in un harem a Caltanissetta — città il cui nome deriva dall’arabo Qalʿat an-nisāʾ, ovvero “castello delle donne”. Per ingannare l’attesa del ritorno del loro emiro, queste donne si dedicarono alla creazione di dolci sensuali e simbolici. Così nacque il cannolo, omaggio alla virilità del sovrano: una pasta fritta a forma di tubo, farcita con una crema di ricotta zuccherata.
Dal castello al monastero: la “conversione” del cannolo
Con l’arrivo del cristianesimo e la diffusione dei monasteri tra l’XI e il XIV secolo, la preparazione dei cannoli passò sotto la custodia delle suore di clausura. In Sicilia, la dolceria divenne un’attività sacra, tramandata con rigore all’interno dei conventi. Come narra il National Geographic, le ricette non venivano mai annotate: il sapere passava da una generazione all’altra solo a voce.
Il cannolo divenne allora un dolce celebrativo, preparato per occasioni religiose e feste solenni. Questa tradizione si rifà ai rituali dell’antica Grecia, in cui cibo e sacralità si fondevano per celebrare la fertilità e il divino. Non a caso, durante il Carnevale, i cannoli – con la loro evidente simbologia fallica – venivano donati come pegni d’amore. Gli uomini li offrivano alle donne recitando versi in dialetto come: “Ogni cannolu è scettru d’ogni Re… lu cannolu è la virga di Mosè”.
La dolceria segreta di Palermo
Tra il XIV e il XIX secolo, i monasteri di Palermo custodivano vere e proprie botteghe artigianali. Le suore producevano dolci raffinati, destinati alle famiglie nobiliari, venduti attraverso piccoli sportelli aperti nei muri dei conventi. La ricotta, le mandorle, le frittelle e le conserve diventavano strumenti di sussistenza economica per gli ordini religiosi, oltre che simboli di creatività femminile.
Fino alla fine del Novecento, solo due dolcerie monastiche erano ancora attive a Palermo: il monastero di Santa Caterina d’Alessandria e quello di Sant’Andrea delle Vergini. Quando anche le ultime monache lasciarono i conventi nel 2014, il rischio di perdere secoli di storia culinaria divenne concreto.

A raccogliere l’eredità delle suore è stata Maria Oliveri, studiosa di beni culturali, che ha pubblicato le ricette dei 21 monasteri di clausura di Palermo. Grazie a lei, è rinata la dolceria “I Segreti del Chiostro“, situata proprio nel monastero di Santa Caterina. Qui, ogni dolce è il frutto di una memoria collettiva femminile, plasmata nel silenzio e nel raccoglimento della vita monastica.
Oggi, i cannoli della pasticceria Oliveri sono rinomati in tutto il mondo. Ma non sono i soli protagonisti. Il menu include altre prelibatezze “sensuali” e barocche, come il Trionfo di Gola, le Felle del Cancelliere e le Minni di Vergine, tutte ispirate a ricette d’epoca rigorosamente autentiche.
Viaggio sensoriale nel cuore di Palermo
Visitare il monastero di Santa Caterina significa immergersi in una dimensione sospesa tra arte, silenzio e dolcezza. L’interno della chiesa è rivestito di marmi scolpiti, mentre il chiostro centrale, con la fontana realizzata dallo scultore Ignazio Marabitti, è un’oasi di pace nel cuore della città. Dalla terrazza panoramica, lo sguardo abbraccia Palermo e la sua corona montuosa, offrendo una cornice perfetta per gustare un cannolo immersi nella luce siciliana.
Sedersi nel chiostro al sole, tra i profumi degli agrumi e il dolce suono dell’acqua della fontana, con in mano un cannolo, è un’esperienza che trascende il semplice piacere del gusto. È un rito antico, un omaggio alla storia segreta della pasticceria sacra siciliana.