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Per cominciare, cerchiamo di capire cos’era la “putia”(la bottega).
C’erano vari tipi di botteghe: “la putia di lu mastru d’ascia , di lu firraru, di lu custureri, di lu varberi”(la bottega del falegname, del fabbro, del sarto, del barbiere)… e così via per tutti gli artigiani che un centinaio di anni fa rendevano la vita possibile nei paesi e nelle città siciliane.
Nelle “putie” artigianali si lavorava, si ricevevano i clienti, ma anche gli amici, si parlava del più e del meno…
Un proverbio siciliano dice:” Fari casa e putia” riferendosi alla fortunata ma non rara situazione di chi era riuscito a crearsi un luogo di lavoro adiacente alla propria abitazione.
“LA PUTIA” tout court, invece,era un’altra cosa.
Era il negozio degli alimentari: un grande pianterreno  con le pareti piene di scaffali stracolmi; con parte del pavimento occupato da “carteddri”(ceste), sacchi, “curriotta e burnii”(contenitori  in legno per le acciughe salate  e in ceramica per le olive)  e con in fondo un grande banco su cui era poggiata la “valanza” (bilancia) e alcune invitanti  bocce di vetro che contenevano caramelle, cioccolatini, confettini colorati ed altre leccornie.
 Niente calcolatrice o registratore di cassa: i conti venivano fatti “a menti” o su un pezzo di carta, le merci “date a credenza” (a credito) venivano segnate su un quaderno, e gli incassi conservati nel “casciuni”(cassetto) del banco.
La putia era quasi un supermercato per la varietà e la quantità delle merci che vi si potevano acquistare: dalla pasta alla frutta, alla farina, ai formaggi, ai salumi…e poi ancora biscotti, cioccolatini, caramelle acciughe salate, olive, olio, detersivi, carbone, etc etc etc… ma niente acqua o latte…in quei tempi la prima si riempiva al “cannolu”( fontanella) e il secondo lo portava fino a casa “lu picuraru”(il pastore) con le sue capre.
“Lu putiaru” o, più spesso. “la putiara” presiedevano tutto questo ben di Dio, coadiuvati talvolta dai familiari o da aiutanti- ragazzini che pagavano con quattro soldi.
Una brava “putiara”  cortese, pulita, precisa,  ben fornita …poteva fare la fortuna del suo esercizio , in quanto la concorrenza era spietata.
Quando io ero molto piccola, la spesa, non andavano a farla le signore come avviene adesso, ma i ragazzini e le ragazzine che spesso arrivavano alla “putia” con una lista scritta dalla mamma, dalla nonna o da qualche vicina di casa.
 La “putiara” leggeva la lista, vi scriveva i prezzi, si pagava e consegnava l’eventuale resto ai ragazzini con mille raccomandazioni tipo: ”mettitilli ‘nsacchetta… accura a unni li perdiri..ca po’ a to ma’ cu la senti!…” ( mettili in tasca, attento a non perderli…che poi tua madre chi la sente) e poi li aiutava a mettere gli acquisti dentro una “coffa”(borsa dalla tipica forma, fatta con paglia o “giummarra” intrecciata) o in una “beca” (classica borsa della spesa ) , infatti i sacchetti di plastica non esistevano ancora… anzi, non esisteva neanche la plastica…
 Ogni tanto, la “putiara” regalava ai suoi giovani clienti “ un carameli” o “un ciccolatu” o, dopo lo sbarco degli americani, “na ciunka”( un cheving gum) e così se li teneva cari…
Vicino a casa mia c’erano 3 “putii”  e noi eravamo clienti di tutte e tre: la più vicina a casa nostra era quella di Assuntina, poi c’era quella celeberrima della ”Zza Ciccineddra e, un po’ più lontana quella della “Zza Cicia”. Ma nel resto del paese ce n’erano tante altre.
“Li putii” perdettero la loro centralità con la nascita dei supermercati,  ma non scomparvero del tutto, ancora adesso ne sopravvivono , anche in città; ma ,soprattutto nei piccoli centri, è possibile trovarne di molto convenienti e ben fornite.