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Vengono fuori giorno dopo giorno molti particolari sulla tragica fine di Pamela Mastropietro, la ragazza di appena 18 anni uccisa e fatta a pezzi nel Maceratese (leggi qui). "Sai Josè, quando esco di qui voglio tornare a studiare, magari vado all’estero e m’iscrivo a un corso di criminologia". Quando ripensa alle ultime parole della giovane, Josè Berdini sente i brividi addosso. Lui è il responsabile di Pars, la comunità terapeutica nel paesino di Corridonia che aiuta circa 120 ragazzi a liberarsi dalle dipendenze. Pamela era arrivata qui a ottobre.

Il "Corriere della Sera" ricostruisce la vicenda. Era domenica mattina, il 28 gennaio, appena tre giorni prima della mattanza di via Spalato, a Macerata. Lui l’aveva invitata ad andare insieme alla messa delle 10.30, lei all’inizio aveva accettato ma poi di colpo si era di nuovo incupita, decidendo di tornare sui suoi passi. Perché Pamela era "gioia e dolore insieme", dice l’operatore. Una domenica all’apparenza tranquilla: sveglia alle 7 come tutti i giorni, nella sua cameretta con bagno divisa con un’altra ragazza; poi il pranzo comune alle 13 in refettorio. "Ma evidentemente aveva premeditato la fuga", sospira Josè.

Lunedì 29 gennaio, intorno alle 14.30, Pamela se ne va trascinando il suo trolley. Senza soldi né cellulare né documenti, che quando si entra in comunità vanno consegnati sempre agli operatori. Il villaggio San Michele Arcangelo della comunità non ha sbarre e non ha cancelli: Pamela se n’è andata e nessuno l’ha vista. Un quarto d’ora dopo la sua assenza è stata notata e sono subito scattate le ricerche. "Siamo usciti e ci siamo divisi, chi con la macchina e chi a piedi, nella speranza di ritrovarla subito sul sentiero che porta alla provinciale, ma lei non c’era più". Ancora il Corriere:

Ci sono tre chilometri di saliscendi in aperta campagna per arrivare alla provinciale, ma lei deve averli percorsi con le ali ai piedi. Poi quasi certamente ha fatto l’autostop per Macerata. Cosa abbia fatto durante la notte e dove l’abbia passata è ancora un mistero. I carabinieri, grazie alle testimonianze raccolte e alle immagini delle telecamere lungo la strada, la ritrovano in via Spalato intorno alle 11 del mattino dopo, martedì 30 gennaio.

Stavolta, però, non è più sola. Con lei c’è il nigeriano Innocent Oseghale, 29 anni, il pusher accusato di aver compiuto lo scempio poche ore dopo nella mansarda. La sua casa si trova nei pressi della farmacia Matteucci, dove Pamela entra alle 11.05 e va a comprare una siringa da 5 ml, paga 20 centesimi ed esce. «La siringa da cinque — osserva il farmacista, che ormai s’è fatto una certa esperienza con i tossici — viene usata di solito per i cocktail di droghe, crack e altre sostanze. Per farsi d’eroina, invece, basta una siringa da uno, quella per l’insulina». Pamela e Innocent indugiano nel cortile antistante la casa del nigeriano. Scambiano qualche parola, nessuno però li vede entrare e salire insieme. Gli uomini del comando provinciale dei carabinieri di Macerata, diretto dal colonnello Michele Roberti, sono convinti che la morte della ragazza sia avvenuta tra le 13 e le 16 di martedì pomeriggio.

Non si sa ancora se a ucciderla sia stata un’overdose di sostanze tagliate male. E non è possibile neanche dire se il pusher sia stato preso da puro terrore e abbia deciso di disfarsi della vittima semplicemente tagliandola a pezzi, chiudendo i suoi resti in due valigie e lavando poi il pavimento con dieci litri di candeggina, come sembra abbia fatto. Di certo c’è che i carabinieri del reparto operativo, diretti dal tenente colonnello Walter Fava, hanno trovato nell’appartamento di via Spalato il pellicciotto insanguinato di Pamela. Che adesso sua madre spera di riavere.