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Con l’arrivo dei primi freddi in ogni casa si tirava fuori il braciere; ed al calar della sera vicoli e stradine si animavano. Tante mamme e nonne, davanti alla porta di casa, preparavano u ginisi (carbonella), e poi i piccoli pezzetti di legna adagiati sopra un foglio di carta stropicciata od un mucchietto di paglia, per facilitarne l’accensione. Per far si che questa operazione andasse a buon fine “u muscaloru” era un arnese pressoché indispensabile; serviva infatti per soffiare leggermente sulla fiamma affinché non si spegnesse. Era quello un momento che aveva una sua “religiosità”, ma pur gioioso; si chiacchierava infatti con i vicini ci si raccontava storie, ed anche noi ragazzini approfittavamo della occasione per trattenerci ancora un po’ in strada prima di rincasare. Sono ricordi della mia fanciullezza che conservo ancora vivi; una volta in casa infatti, dopo una frugale cena, tutta la famiglia si riuniva attorno a quel “tunnu” di legno sopra il quale “a conca” (il braciere) emanava il suo tepore. Man mano che la carbonella si consumava, per rinvigorirne il calore si dava ogni tanto una rimescolata con un vecchio cucchiaio; poi si metteva sopra anche qualche scorza di arancia che, oltre ad emanare un gradevole profumo, secondo le convinzioni del tempo, poteva pure tornare utile per limitare i pericoli, sempre presenti, del monossido di carbonio. Sul braciere si metteva spesso anche “u circu” una sorta di cupola fatta di legno intrecciato, che serviva per posarci sopra qualche piccolo panno da asciugare; o a far si che le lunghe gonne delle donne di una volta, non avessero a bruciarsi. Spesso sotto la cenere si adagiavano anche cipuddetti o patate oppure olive che, appena scottate, venivano gioiosamente mangiate. Ci si tratteneva così qualche ora parlando dei tanti problemi della vita, della giornata appena trascorsa, od ascoltando i nonni che appassionatamente raccontavano fiabe od episodi di vita vissuta. Oggi il nostro braciere è la televisione o, ancora peggio il telefonino, che ci isola pur quando siamo vicini. Poi, in quanto a calore, abitiamo in ambienti ermetici ed anche fin troppo riscaldati; ma stufe e termosifoni non potranno mai sostituire il tepore di quel focolare, che sapeva donare la gioia delle cose semplici e riscaldare i cuori. – I versi in lingua siciliana che seguono, ben ne descrivono alcuni momenti; ed il titolo del componimento è proprio: U BRACERI
Cari la nivi supra a li casi
dormi la terra e tuttu taci;
sputa lu focu lingui brucenti
vola la vampa purtannu caluri.
Joca lu nicu cu so’ papà,
cunta lu nonnu di tant’anni fa’;
e ‘ntornu o braceri e tuttu un chiaruri
di paci, d’amuri e sirinità.
Sputa lu focu, faiddi lucenti,
e duna la gioia fatta di nenti.
(Foto tratta dal web e condivisa da Nina Sardella)