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Avete mai sentito parlare del Tuppeturu? Si tratta di una trottola di origini catanesi. Anticamente si ricavava da una biglia che risultava un po’ liscia da un lato: qui veniva inserito un chiodo, la cui parte appuntita si lasciava fuori. Così si poteva usare come perno per il movimento.

Il nome deriva dalla parola “tuppu“, che indica un arnese la cui forma risulta tondeggiante e sporgente. Questo gioco era molto apprezzato tanti anni or sono, poiché permetteva ai più piccoli di trascorrere ore di divertimento. In pratica è l’equivalente della strummula.

Il tuppeturu può avere diverse dimensioni, ma ha sempre un lungo filo di spago intrecciato sul “collo”. A seconda delle dimensioni, cambiava anche il nome. Avevamo, così, paparazza, paparedda, tuppeturu lisinu e ciancianedda. Il gioco cominciava con la frase «Cu put­tau ‘u tup­pèt­tu­ru?».

Si può giocare sia in due che in più squadre: nel primo caso, si conta il numero di giri che la spinta del giocatore riesce a dare alla trottola. Quando si gioca a squadre, invece, la trottola lanciata dal primo giocatore deve essere bloccata da quella degli altri giocatori.

Come tutti i giochi di un tempo, il tuppeturu serviva a coltivare la dimensione della socialità e dell’incontro con gli altri.

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