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Schisina, Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Morfia. Sono sette, sono i Villaggi Schisina e oggi sono in stato di abbandono. La Regione Siciliana li ha costruiti nel 1950, sulla Strada Statale 185 di Sella Mandrazzi, allo scopo di adibirli ad abitazioni per i contadini assegnatari delle terre circostanti, facenti parti di ex latifondi. Costituivano l’unica frazione di Francavilla di Sicilia (Messina).

La Storia dei Villaggi Schisina

Nel 1950, al tempo della riforma agraria in Sicilia, fu creato l’Ente per la Riforma Agraria in Sicilia (Eras). Lo scopo era  espropriare e assegnare i vecchi latifondi ai contadini, che a canone agevolato e dilazionato avrebbero potuto riscattare il terreno. Inoltre gli stessi avrebbero potuto ottenere dei fondi regionali.

Per i proprietari che volontariamente offrivano in vendita i loro terreni erano previste agevolazioni. La contessa Maria Maiorca Mortillaro cedette 748 ettari del suo feudo proprio tra Novara di Sicilia e Francavilla di Sicilia al prezzo di 22.800.000 (del 1950). I lavori furono affidati ed eseguiti dall’impresa di costruzioni dell’ingegnere Rosario Arcovito di Messina, per una spesa poco inferiore al miliardo di lire.

L’organizzazione dei sette villaggi era così strutturata:

Borgo Schisina era il villaggio centrale, quello più grazioso, fiore all’occhiello dell’Eras e centro amministrativo di tutta l’organizzazione montana. Gli altri invece erano micro-comunità costituite da piccolissime case costruite in mattoni sui vari terrazzamenti del terreno. I loro nomi: Borgo San Giovanni, Bucceri-Monastero, Pietra Pizzuta, Malfìtana, Piano Torre, Morfia. In tutto furono costruite 164 abitazioni, da assegnare per sorteggio, con annesso appezzamento di terreno variante tra i due e i sei ettari.

La sorte dei Villaggi

Le assegnazioni furono fatte per sorteggio. Subito dopo, però, 64 contadini rifiutano l’assegnazione delle terre, mentre gli altri 100 che accettarono rifiutarono di stabilirsi in loco con le famiglie. Fu così che i villaggi rimasero vuoti. Benché, infatti, i contadini fossero nullatenenti e poverissimi, le case a loro assegnate erano costituite da due soli locali, composti da una cucina di quattro metri per quattro e una stanza da letto di tre metri e mezzo per tre metri, senza luce elettrica, perché a quel tempo non era stata ancora costituita l’Enel. La Sges, società in concessione, non intendeva elettrificare le campagne. Nelle abitazioni, inoltre, non era stata prevista l’acqua corrente.

Al loro interno faceva caldo d’estate e freddo d’inverno, a causa del tetto, che a 700 m s.l.m. venne realizzato a terrazza. In caso di pioggia si allagavano, perché il pavimento era ad un livello uguale a quello del terreno esterno.

Stalla e fienile erano piccoli ed avevano gli stessi problemi delle abitazioni. I terreni assegnati, essendo stati da sempre adibiti solamente a pascolo, avevano bisogno di opere di bonifica, che però erano fuori dalla portata sia economica che tecnica dei contadini. Molti di essi, non potendosi permettere di lasciare un lavoro sicuro di braccianti per un’impresa più grande delle loro poche forze, dovettero rinunciare.

Chi accettò ebbe solo per poco tempo l’assistenza dell’Eras, poi furono lasciati soli. Oltre a tutto questo, l’area interessata era frammista ai pascoli lasciati in mano ai vecchi proprietari, le cui greggi sconfinavano nelle concessioni agricole danneggiandole. Dopo circa dieci anni, nel 1960, solo pochissime abitazioni erano abitate saltuariamente, nella stagione dei lavori agricoli. Di 164 alloggi erano abitati a Malfitana solo 2, a Borgo San Giovanni 4, a Piano Torre 9. Il resto era deserto.

Col passare degli anni anche queste abitazioni vennero abbandonate ed i villaggi passarono nel patrimonio del comune di Francavilla di Sicilia, che fino ad oggi non ha trovato la possibilità di un loro reimpiego.

Foto Wikipedia – Davide Mauro

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