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Parlare di un secolare stato preunitario in poche righe come il nostro regno è molto complesso ma l’amore per la Sicilia e la passione per il nostro percorso storico fa si che tutto ciò avvenga con immenso piacere.

Non si può non iniziare a parlare del regno siciliano partendo dal fondamentale arrivo dei normanni e dalla loro trentennale guerra di liberazione dal giogo saraceno. I normanni, e con loro il casato degli Altavilla, come accennato prima liberò l’isola dai saraceni e dopodiché il fautore principale di questa impresa, Ruggero I d’Altavilla, fu incoronato Gran Conte di Sicilia (e con essa le isole minori, incluso l’arcipelago maltese) e di Calabria meridionale.

La nascita della Gran Contea si può far risalire simbolicamente il giorno della presa di Palermo, ovvero il 10 Gennaio dell’anno 1072. Anche se per completare la conquista dell’isola se ne dovranno attendere altri diciannove.

Al Gran Conte Ruggero I succedettero in sequenza il figlio Simone e subito pochi anni dopo il secondogenito Ruggero II, il personaggio più importante della storia siciliana.

Ruggero II fu il rifondatore del Regno di Sicilia, perché in verità un Regno ellenistico dell’isola esistette nell’antichità con i tiranni siracusani e in particolare con l’imerese Re Agatocle. Celebre infatti il passaggio di Niccolò Palmieri nella sua opera “Somma storia di Sicilia” che riporta queste testuali parole:

«Il parlamento adunque non elevò Rugiero ad un trono novello; ma volle fare risorgere l’antico e glorioso trono di Gelone, d’Agatocle di Pirro e di Gerone; e lo stesso confermò poi nella sua bolla papa Innocenzio II quando dopo tante guerre, ebbe a riconoscere il regno di Sicilia.»

Ruggero II come il padre iniziò da Gran Conte ma era un uomo di grandissime ambizioni e da subito coltivò il sogno di farsi Re e di fare di Palermo la più grande capitale d’Europa. Ruggero II nato a Mileto e cresciuto nella metropoli panormitana fu anche un mecenate, finanziò infatti la costruzione di moltissime opere architettoniche come il capolavoro dell’arte siculo-normanna della Cappella Palatina e lo stesso Palazzo Reale di Palermo, la più antica reggia in Europa.

Donò all’isola uno dei più antichi parlamenti al mondo. Egli si circondò di uomini di grande cultura provenienti da altri regni europei e mediterranei come il romeo Nilos Doxopatris e l’arabo-andaluso Muhammad al-Idrisi. Oltre alla cultura Ruggero II fu un grande conquistatore e quando nel 1127 si spense il duca di Puglia Guglielmo II d’Altavilla, Ruggero ne rivendicò l’eredità in mancanza di diretti discendenti del primo, qui inizia l’escalation che porterà in pochi anni il nostro Re a divenire uno dei più grandi signori del medioevo.

L’anno successivo Papa Onorio II è costretto a concedere, con il trattato di Benevento, l’investitura del Ducato di Puglia a Ruggero II; nel 1129 gli si sottomette per la prima volta anche Roberto il principe di Capua mentre nel giorno di Natale del 1130 Ruggero II è incoronato a Palermo Re di Sicilia, dopo esserne stato riconosciuto dall’antipapa Anacleto II con una bolla del 26 settembre.

Gli anni successivi per lui saranno quelli dell’assestamento del nuovo reame, infatti sul continente le ribellioni contro il nuovo Re furono numerose ma Ruggero riuscirà ad uscirne sempre vincitore. Così negli anni successivi accresce il reame siciliano di nuove conquiste; nel 1131 capitola Amalfi, nel 1137 viene annesso il Ducato di Napoli, nel 1139 i siciliani sconfiggono una coalizione formata da Papa Innocenzo, da Pisa, Venezia e l’Impero d’Oriente.

Fondamentali per queste conquiste furono due personaggi, cioè gli ammiragli Cristodulo e Giorgio d’Antiochia. Se il primo, probabilmente un siciliano di rito greco, fu a capo di una disastrosa spedizione nel 1123 in Africa, il secondo fu fondamentale per la piena conquista dei domini continentali e di quelli africani.


Ed è proprio nelle conquiste africane che Ruggero II intensifica i suoi sforzi; se nel 1135 le armi siciliane conquistano Gerba, il 1146 è l’anno decisivo per l’accrescimento dei territori magrebini da Bugia a Tripoli creando uno stato satellite chiamato Regno d’Africa, territorio occupato per due motivi in particolare: il primo per evitare ancora delle scorrerie navali ai danni dell’isola e la seconda, di fondamentale importanza, per far insediare in quei territori i siculo-musulmani ancora viventi nell’isola.

Infine, l’ultima opera di questo eccelso sovrano fu l’occupazione di numerose porzioni dei Balcani nell’anno 1147 come Corfù, Corinto e Tebe sempre per mano dell’ammiraglio Giorgio.

Celebre la frase trovata sulla sua spada a testimoniare la grandezza di questo personaggio e lo splendore raggiunto dalla Sicilia con questo nostro grande Re:
“Apulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer”

Ruggero II si spense a Palermo nell’anno 1154 e a lui succedettero prima il figlio Guglielmo I (dal 1154 al 1166) e poi il nipote Guglielmo II (dal 1166 al 1189), il primo lo si ricorda con l’appellativo de “il malo”, il secondo invece con quello de “il buono”.

Il regno di Guglielmo il malo fu caratterizzato da numerose ribellioni cui il sovrano dovette far fronte, a cominciare dai pogrom anti-musulmani scatenati in Sicilia dai ribelli Matteo Bonello e Ruggero Sclavo e dai numerosissimi nord-italiani trasferiti nell’isola per ripopolare ampi territori di essa, dalle ribellioni dei baroni pugliesi e dai soliti attacchi del papato. Eppure durante il suo governo la Sicilia si arricchì di sollazzi regi come la Zisa.

A lui succedette il figlio omonimo che regnò ispirandosi al celebre nonno, fu infatti anche lui un grande mecenate e uomo di cultura. Durante il suo reame l’opera più importante è senza dubbio il Duomo di Monreale. Guglielmo non ebbe il tempo ad avere figli che morì prematuramente a soli 36 anni, non lasciando eredi diretti.

Alla sua morte i feudatari e i nobili di origine normanna scelsero Tancredi come successore che venne incoronato nella Cattedrale di Palermo nel 1189. Il nuovo Re dovette immediatamente fronteggiare numerosi rivali a cominciare da Enrico VI, che in quanto marito di Costanza d’Altavilla (figlia naturale di Re Ruggero II) reclamò per se il diritto di cingere la corona di Sicilia ed anche Riccardo Cuor di Leone.

Per salvaguardare la dinastia, Tancredi nominò come erede il figlio Ruggero III a cui trovò un buon partito, la figlia dell’imperatore d’Oriente Irene Angelo.

Sfortunatamente anche l’erede morì prematuramente nel 1193, e l’anno dopo si spense pure Tancredi che riposa alla Magione di Palermo. Nonostante ciò la dinastia degli Altavilla non smetterà di regnare immediatamente sul trono di Palermo ma l’eredità passò a Guglielmo III secondogenito di Tancredi di soli nove, che governò con la reggenza della madre Sibilla di Medania. Enrico VI approfittò della morte del suo acerrimo rivale e della giovane età del piccolo Guglielmino per invadere la Sicilia e reclamare il trono palermitano. L’epoca di splendore degli Altavilla era giunta al termine.

Dopo aver parlato dell’avvento degli Altavilla e della fondazione del Regnum Siciliae (il nome latino del Regno di Sicilia), con conseguente nascita di un quasi Impero Mediterraneo durante gli anni del governo del grande Ruggero II, continuiamo l’opera narrando gli avvenimenti della Sicilia durante il governo degli Hohenstaufen.

Il passaggio a questa dinastia fu traumatico poiché Enrico VI fu un vero e proprio despota, un sovrano che spogliò economicamente la Sicilia, trafugò molte vestigia reali per trasportarle in Germania. Ancora oggi il mantello di Re Ruggero II (e non soltanto questo) è custodito a Vienna anziché a Palermo.

Accese la ribellione in tutta la Sicilia e nel resto del reame che soffocò col sangue, con torture ed esecuzioni di massa che accesero l’odio dei siciliani contro questo sovrano. Fortunatamente il dispotico e tirannico governo di Enrico VI fu molto breve (durò dal 25 Dicembre 1194 al 28 Settembre 1197) poiché fu colpito da un malore a Castrogiovanni (Enna), fu trasportato a Messina dove morì. Qualcuno ha ipotizzato che dietro alla morte improvvisa del tiranno germanico ci fosse la mano occulta della moglie Costanza d’Altavilla che stanca dei soprusi subiti dalla sua gente decise di avvelenare il marito. Chissà se dietro questa leggenda ci sia un briciolo di verità.

A lui successe in Sicilia come reggente la moglie Costanza che affidò la tutela del piccolo figlio Federico a Papa Innocenzo III, e nel Sacro Romano Impero Ottone IV di Brunswick. La reggenza della Gran Costanza durò solo un anno poiché si spense a Palermo nel 1198. A questo punto, il sempre più travagliato momento del Regno di Sicilia sembra non finire mai, l’anarchia, il caos, il dissesto finanziario, i musulmani rivoltosi e i baroni ribelli spadroneggiano lasciando in eredità al piccolo Federico una situazione pessima.

Parlare della figura di Federico in poche righe è un’impresa davvero ardua per l’avventurosa vita del sovrano. Lo stupor mundi crebbe a Palermo, capitale del Regno e metropoli d’Europa, città che affascinava tutti i viaggiatori che la visitavano grazie al grande governo di Ruggero II e di Guglielmo II che fecero della città un polo culturale di grandissimo esempio per il mondo medievale.

I suoi primi anni furono trascorsi tra il Palazzo Reale e il Castello della Favara sotto la tutela di maestri come Gualtiero di Palearia, del fratello di quest’ultimo Gentile di Manoppello e di frate Guglielmo Francesco.

Sulla sua infanzia sono stati creati tantissimi miti come aver trascorso e vissuto tra i vicoli di Palermo ma sembrano invenzioni della storiografia moderna ed è probabile che Federico abbia passato la sua prima educazione fino all’emancipazione soprattutto nel Palazzo Reale di Palermo con i suoi precettori tra i quali si ricorda pure Guglielmo di Capparone.

Nel 1209 su consiglio del Pontefice sposa Costanza d’Aragona di dieci anni più grande di lui, il matrimonio portò in dote al sovrano anche 500 cavalieri pesanti ideali per cominciare a mettere ordine nel caos ancora presente soprattutto nell’interno dell’isola. Due anni dopo nacque l’unico figlio della coppia; Enrico che fu re di Germania e traditore del padre.

Nel 1212 Federico parte da Palermo per giurare fedeltà al Papa a Roma e risalì passando da Genova e visitando le città lombarde. Tornato in Sicilia ben otto anni dopo aver ottenuto la corona imperiale si trova di fronte a molte sfide, ad un’isola da pacificare, conducendo una guerra contro i saraceni, ribelli al potere imperiale, che decise di deportare sul continente e che successivamente saranno validi arcieri nel suo esercito e persino guardia personale.

Federico fu anche un uomo di rinnovamenti legislativi conducendo una profonda attività in questo senso a Messina, a Capua, a Catania, a Siracusa ma soprattutto a Melfi dove nacquero le Liber Augustalis, un innovativo codice legislativo. Come suo nonno Ruggero II e suo cugino Guglielmo II il buono fu un sovrano mecenate e di cultura: regalò alla città di Napoli l’università, diede impulso alla scuola medica salernitana ma è soprattutto a Palermo, la splendida capitale, che l’attività culturale ebbe il suo fulcro maggiore con la scuola poetica siciliana.

 

Per la prima volta negli stati preunitari si componevano poesie in volgare e non più in latino; grazie al nostro sovrano la lingua siciliana assunse ad un ruolo di prestigio e sviluppandosi sui modelli dei provenzali creò delle opere di assoluta importanza. Tra i vari poeti ricordiamo i lentinesi Jacopo da Lentini che ideò il sonetto e Arrigo Testa, i messinesi Stefano Protonotaro, Odo delle Colonne e Guido delle Colonne, l’alcamese Cielo d’Alcamo e i numerosi poeti del resto d’Italia come il genovese Percivalle Doria, il capuano Pier della Vigna e persino Federico in persona e suo figlio Re Enzo di Sardegna, nato forse proprio a Palermo. Questa scuola sopravvisse fino all’età di Manfredi.

Il suo regno proseguì con una grossa opera di incastellamento grazie al suo fedelissimo architetto Riccardo da Lentini, progettista del Castello Ursino di Catania, del Castello di Maniace di Siracusa, del Castello di Augusta, del Castello di Milazzo e si ipotizza pure di Castel Del Monte.

Quando Federico morì nel 1250 a succedere alla sua carica vi fu Corrado IV, il cui ruolo nella storia siciliana è molto meno importante, il suo regno infatti durò soltanto quattro anni e preferì la Germania e il Sacro Romano Impero alla Sicilia e al Regno siciliano.

Quando perì Corrado, il successore doveva essere Corradino, il suo piccolo figlio, ma in verità come reggente a pieni poteri c’era Re Manfredi. Costui fu incoronato Re di Sicilia a Palermo e la sua eredità, malgrado un non lunghissimo governo, è stata comunque di rilievo. Egli sposò Beatrice di Savoia da cui ebbe Costanza nata a Catania, che andò in sposa al Re d’Aragona Pietro III .

Manfredi sposò in seconde nozze Elena Ducas la figlia del Despota d’Epiro Michele II da cui ereditò alcuni territori epiroti portati in dote da lei al nostro Regno. Questo periodo durò pochissimo a causa della discesa di Carlo d’Angiò chiamato dal Papa per distruggere il Regno di Sicilia e la dinastia dei legittimi sovrani Hohenstaufen. L’angioino mosse in guerra contro Re Manfredi che fu sconfitto ed ucciso nella Battaglia di Benevento dagli invasori ed usurpatori. Carlo d’Angiò che si proclama, da conquistatore, Re di Sicilia suscitando il malcontento del popolo. Ma il riscatto dei siciliani non tarderà ad arrivare.

L’avvento degli Angioini fu piuttosto violento poiché Carlo d’Angiò, da usurpatore, si impossessò di un Regno sul quale non vantava diritti dinastici. La battaglia di Benevento del 1266 fu un evento chiave per determinare le sorti del Regno siciliano, infatti si affrontarono guelfi (angioini e filo angioini) e ghibellini (svevi e filo svevi) con l’esito della battaglia che vedrà perire Re Manfredi e la vittoria dei guelfi.

Salito al trono di Sicilia Carlo d’Angiò operò subito dei cambiamenti atti ad umiliare l’isola che divenne sempre più periferica; il francese spostò ad esempio la capitale da Palermo a Napoli, aumentando il già diffuso malcontento nell’isola, e riempì le città siciliane di soldati e feudatari francesi spesso tutt’altro che amichevoli che trattavano i siciliani come un popolo sottomesso e conquistato.

Stanchi dei torti e dei soprusi i siciliani iniziarono ad organizzare una ribellione, che non fu un processo estemporaneo come si pensa, ma un fatto storico ben preparato e premeditato nel corso degli anni. Già due anni dopo l’evento di Benevento il piccolo Corradino di Svevia, figlio di Corrado, nipote di Federico II ed erede diretto della corona siciliana tentò di riprendersi il trono di Palermo, ma fu nuovamente sconfitto dagli angioini e dai ghibellini che riuscirono a catturarlo e a decapitarlo a Napoli. Il giovanissimo sovrano fu eliminato senza rispetto dagli invasori francesi.

A tutto ciò seguiranno altri quattordici anni di soprusi, umiliazioni e vendette da parte degli angioini francesi nei confronti dei siciliani che il 30 marzo 1282 esplosero con tutta la loro violenza in quella ribellione che è divenuta famosa come la rivolta dei vespri siciliani.

In breve tempo, le città alleate di Corleone e Palermo e poi tutto il resto dell’isola scacciarono i francesi da tutto il territorio e si organizzarono in liberi comuni: la famosa e rimpianta Communitas Siciliae. Oltre che dalla rabbia che i siciliani ebbero contro gli angioini, il vespro fu fomentato anche dall’imperatore d’oriente per motivi molto importanti: gli angioini infatti, dopo aver conquistato ed umiliato la Sicilia e il suo reame, e spostato in maniera irrispettosa la capitale da Palermo a Napoli, puntavano all’oriente; l’obiettivo dei francesi, dopo Palermo, era distruggere Costantinopoli.
Nel frattempo gli angioini tentarono di riprendersi l’isola, approfittando anche di un Papa che fece gli interessi degli invasori, essendo anche esso francese.

La stagione della Communitas Siciliae volge al termine per fare spazio ad una nuova monarchia, di eredità normanno-sveva, dunque legittima.

La classe dirigente siciliana si accordò nell’offrire la corona dell’isola a Pietro d’Aragona, in quanto marito della figlia di Re Manfredi, Costanza di Hohenstaufen nativa di Catania. Pietro accettò e succedette all’antico casato regnante per diritto dinastico, ma non unì mai la Sicilia con l’Aragona ed anzi alla sua morte l’Aragona passò in mano al primogenito Alfonso, la Sicilia invece al secondogenito Giacomo. Se quest’ultimo inizialmente regnò col consenso del ceto dirigente e del popolo, man mano che il tempo trascorreva covava altre possibilità e alla morte del fratello Alfonso gli succedette in Aragona ma non diede la Sicilia al fratello Federico, ma si tenne i due regni per se, violando i patti che i suoi genitori avevano preso nei confronti del popolo siciliano. Pietro infatti considerava la Sicilia il regno di sua moglie, e pertanto ebbe rispetto. Il peggior tradimento che Giacomo potesse effettuare era quello di lasciare nuovamente la Sicilia in mano agli angioini e di prendersi la Sardegna e la Corsica, donate gentilmente a lui dal solito Papato.
I baroni siciliani non stettero a guardare e dichiararono decaduto questo sovrano indisponente.

Al suo posto nominarono il grande Federico III, uno dei più grandi personaggi della nostra storia, e uomo dalla storia epica. Federico venne in Sicilia che era un bambino (aveva circa 8 anni) e li era cresciuto. Quando ebbe il titolo di Re dell’isola la difese dagli attacchi di mezza Europa, come nella battaglia di Capo d’Orlando dove si scontrò col fratello Giacomo e il Regno d’Aragona (e poi ci parlano di dominazione aragonese della Sicilia), la difese persino da un altro tentativo armato dei francesi con Carlo di Valois e si accordò con gli angioini a Caltabellotta nel 1302 che chiuse la prima parte della novantennale guerra del vespro.

In un primo momento Federico si fece proclamare Rex Trinacriae, mentre il titolo di Rex Siciliae rimase all’angioino regnante a Napoli. Ma in verità il nostro sovrano abbandonò dopo poco tempo questo titolo irrispettoso e tornò a firmarsi col nome legittimo di Re di Sicilia.

Nel trattato era prevista pure la cessione della Sicilia agli angioini alla sua morte, cosa che come vedremo non accadrà, ma fu solo una presa di tempo per riorganizzare le forze. L’anno dopo sposerà a Messina Eleonora d’Angiò, matrimonio politico che però darà al re dell’isola ben dieci figli legittimi e diversi eredi. Si perché Federico nominerà suo figlio Pietro erede al trono disubbidendo agli accordi intrapresi.

Il nostro sovrano fu anche un abile stratega e nel 1311 con due abili mosse politiche si assicurò l’alleanza con l’imperatore Arrigo di Lussemburgo per eliminare la presenza angioina in Italia, progetto che sfumò a causa della prematura morte dell’imperatore. Poi si dedicò all’allargamento dei domini della corona siciliana. Infatti finita la prima fase della guerra col trattato di Caltabellotta il primo problema che si presentò fu quello della smobilitazione delle forze che avevano combattuto. Le truppe feudali e cittadine tornarono a casa, ma i mercenari, soprattutto aragonesi e catalani, ma anche siciliani e calabresi erano rimasti disoccupati. Ruggero da Flor pattuì con l’imperatore romeo Andronico II il suo intervento in oriente per combattere contro i nemici dell’impero romano d’oriente. Al suo appello tutti i mercenari disoccupati accorsero e Federico III re di Sicilia li incoraggiò a partire salpando da Messina.

Questi mercenari giunsero nell’attuale nazione greca e si unirono ad altri mercenari dando vita alla Compagnia catalana che conquisterà Atene e Neopatria che per lontananza dal regno di Aragona fu dato in dominio feudale al regno di Trinacria di Federico III.
Entrambi i ducati greci dal 1312 al 1388 divennero domini feudali del nostro regno (analogamente a Gerba e Kerkennah) e governati da nobili siciliani direttamente imparentati con la casata reale di Trinacria, che all’epoca e fino agli inizi del 1400 rimase distinta dai reami iberici.

Federico continuò a difendere la Sicilia dai tentativi di ripresa angioina, nel 1314, 1316, 1317 e nel 1314 fece riconoscere suo figlio Pietro suo successore al trono dal parlamento siciliano.

Quando questo grande sovrano perì nel 1337 dopo un lungo regno, subentrò suo figlio Pietro II che fu associato al trono già nel 1321. Costui non fu all’altezza del padre, ma continuò a mantenere l’indipendenza del regno, purtroppo però morì improvvisamente nel 1342 a Calascibetta e fu sepolto nella Cattedrale di Palermo, nello stesso sarcofago di Federico II.

Al suo posto subentrò il piccolo Ludovico con la duplice reggenza dello zio Giovanni e di sua madre Elisabetta di Carinzia. Anche lui perì molto giovane a causa della peste nera.

Succedette al suo posto il fratello minore Federico IV detto il semplice, un sovrano che per quanto debole firmò il trattato di Avignone con gli angioini. Trattato che poneva fine a novant’anni di guerra con gli angioini (1282-1372).

Il regno di Federico IV purtroppo fu un prosieguo di quello del fratello, frutto di una forte instabilità politica e di una guerra permanente tra fazione italica e fazione iberica che ridussero la forza e l’economia. Ebbe solo una figlia legittima, avuta dalla moglie Costanza d’Aragona, la futura Regina Maria.
Quando Federico perì, al suo posto subentrò proprio la giovane Regina e questo fece si che la guerra civile tra le due fazioni si inasprisse perché subentravano interessi dinastici: il partito filo-latino era a favore del matrimonio con Visconti, quello filo-aragonese per il futuro erede del trono d’Aragona.

Il regno fu diviso in quattro vicariati ben distinti uno sotto la guida di Artale Alagona (tutore della Regina), un altro di Francesco II Ventimiglia, un altro ancora in mano a Manfredi III dei Chiaramonte e infine l’ultimo vicariato a Guglielmo Peralta.

Ognuno governò nei propri possedimenti: gli Alagona a Catania e in quasi tutta la Sicilia orientale, i Chiaramonte a Palermo e in quasi tutto il Val di Mazara, i Ventimiglia nelle Madonie e i Peralta nella contea di Sciacca e Caltabellotta.

Guglielmo Moncada rapì la Regina e con l’intervento del re d’Aragona fu condotta lì per farla sposare con Martino il Giovane, tutto questo col benestare dell’Antipapa Clemente VII.

I quattro vicari siciliani giurarono opposizione con il giuramento di Castronovo ma fu un vano tentativo di resistenza. Tutto ciò condusse alla perdita dell’indipendenza e la definitiva unione all’Aragona.

Cosa accadde infatti? Maria morì nel 1401 e rimase al potere solo il marito Martino, che ben presto convolò a nuove nozze con Bianca d’Evreux. Martino morì nel 1409 e subentrò il padre Martino il vecchio re d’Aragona, che morì l’anno dopo. Al compromesso di Caspe nessun siciliano fu interpellato e si decise di nominare come re d’Aragona Ferdinando di Trastamara che lasciò la regina Bianca come vicaria nel regno fino al 1415 quando subentrò il figlio Alfonso che trasformò definitivamente la Sicilia in un viceregno aragonese.

In Sicilia vi furono tentativi di fare eleggere come sovrano dell’isola il figlio illegittimo di Martino il giovane Federico de Luna, figlio avuto con una nobildonna di nome Tarsia Rizzari ma tutto fu vanificato e lui chiamato in Aragona. Altro tentativo fu di far convolare a nozze la regina Bianca con Niccolò Peralta, un nobile siciliano che aveva, per parte materna, distanti parentele con l’antica dinastia dei sovrani di Sicilia, ma tutto fu vano. Vi fu anche il tentativo, da usurpatore, del perfido Conte Cabrera di sposare Bianca, tentativo andato in malora.

Il regno dell’isola di Sicilia perse la sua indipendenza e iniziò, con tradimenti ed ingordigia, l’egemonia spagnola. Egemonia che durò praticamente tre secoli, fino al 1713.

William Galt

Fonti:
Francesco Paolo Tocco – Ruggero II
Alessandro di Telese – Ruggero II
Ugo Falcando – Il Regno di Sicilia
Isidoro La Lumia – Storia della Sicilia sotto Guglielmo il Buono
Niccolò Palmieri – Somma storia di Sicilia
Francesco Renda – Federico II e la Sicilia
Tommaso Fazello – Le due deche dell’historia di Sicilia
Giuseppe Di Cesare – Storia di Manfredi Re di Sicilia
Filadelfo Mugnos – Ragguagli historici del Vespro Siciliano
Michele Amari – La guerra del Vespro Siciliano
Pietro Egidi – La Communitas Siciliae
Francesco Luigi Oddo – Il moto del Vespro e la Communitas Siciliae
Pasquale Hamel – Il lungo Regno
Vincenzo Di Giovanni – Cronache siciliane dei secoli XIII. XIV. XV.
Corrado Mirto – Il Regno dell’isola di Sicilia e delle isole adiacenti
Laura Sciascia – Bianca di Navarra l’ultima regina

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