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Un antico canto siciliano.

  • Le miniere di zolfo hanno scritto una intensa pagina di storia della Sicilia.
  • Anche i minatori, come gli altri lavoratori, creavano canti e motti per esternare i propri sentimenti.
  • Ecco una antica canzone dei minatori siciliani.

Nell’entroterra siciliano, tra le province di Agrigento, Enna e Caltanissetta, si trova uno dei bacini minerari più importanti d’Europa. Noto e sfruttato fin dall’antichità, nel XIX secolo ha visto l’inizio di forme di estrazione intensiva. Le miniere di zolfo, per un periodo di oltre 150 anni, hanno costituito una delle principali fonti di reddito di diversi comuni del Nisseno e dell’Ennese. La figura del minatore affiancò quella del contadino, del pastore e dell’artigiano, ed ebbe una particolare caratterizzazione sociale e culturale. La vita in miniera segnò in modo indelebile il sistema socio-economico delle aree interessate, scrivendo un importante capitolo di storia siciliana. Si trattò di un capitolo relativamente breve, ma molto intenso. Le condizioni di lavoro erano aberranti e anche i bambini erano impiegati nelle miniere.

Anche i minatori, come altre categorie lavorative della tradizione, hanno prodotto un corpus di proverbi, motti e canti. Quasi sempre, l’argomento è drammatico, legato all’avvilimento e alla disperazione. Molto spesso queste forme espressive venivano cantate, con intonazioni austere e malinconiche, durante i momenti di pausa o nei tragitti da e verso e le miniere. I canti, nati dall’esigenza di esternare la propria sofferenza, descrivono principalmente la condizione esistenziale e lavorativa. Dai toni meditativi, si passa a quelli di denuncia sociale. Ne riportiamo di seguito uno che arriva da Villarosa (Enna).

Canto dei minatori siciliani

Puviri surfarara sbinturati
Ca notti e jornu sutt’a terra siti
Sempri amminzu li periculi ci stati
E pallita la facci vi faciti
Ddi fatti a cincu grana ca vuscati
Subbitu a la taverna li spinniti
E quanno duppu muriti, chi lassati?
Ddu strazzu di picuni si l’aviti.

Questo antico canto dei minatori siciliani racconta la condizione degli sventurati zolfatari. Notte e giorni stavano nelle viscere della terra, esposti ai pericoli. A causa dell’assenza di luce del sole, i loro volti erano pallidi. Quel che guadagnavano, veniva speso in taverna. Cosa avrebbero lasciato una volta morti? Soltanto il piccone, se ce l’avevano.

Fonte: Consorzio Civita

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