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L’Etna (chiamato anche Mungibeddu o ‘a Muntagna, in siciliano) è un complesso vulcanico attivo originario nel Quaternario. È il più alto d’Europa e Patrimonio UNESCO dell’Umanità dal 2013.

Sorge nel territorio della Provincia di Catania, ergendosi per 3.343 metri sul livello del mare. Il suo diametro è di circa 45 chilometri, e occupa una superficie di 1570 km², caratterizzata da una diversità di ambienti unica al mondo: si va dalle zone sterili in pietra lavica, normalmente ricoperte di neve in inverno, a quelle folti e rigogliose della macchia, fino ai caratteristici vigneti, e ospita numerose specie endemiche della fauna e della flora locali, come la saponara e la ginestra dell’Etna, la camomilla e il caglio dell’Etna, oggi sotto la protezione dell’Ente Parco Naturale creato nel 1987.

Il suo nome deriva dalla pronuncia in greco antico itacista del nome Aitna, che deriva dal verbo ’aitho’, ovvero bruciare. Lo stesso nome fu anche attribuito alle città di Katane e Inessa; in epoca romana era dunque conosciuto col toponimo di Aetna.
Gli scritti in lingua araba si riferivano ad essa come la ‘Montagna di fuoco’; questo nome fu più tardi mutato in Mons Gibel, da cui Mongibello (o anche Montebello).
Il termine Montebello rimase in uso fin quasi ai nostri giorni nostri; ma per alcuni le sue origini deriverebbero da Mulciber, uno degli epiteti attribuito dai latini al dio Vulcano. Oggi il nome Mongibello viene utilizzato per indicare solo la parte sommitale dell’Etna: l’area dei due crateri centrali e dei crateri sud-est e nord-est.

Le eruzioni regolari della montagna, l’hanno resa oggetto di grande interesse per la mitologia greca e romana, tramandate a noi tramite una mescolanza di credenze popolari, anche di epoche successive, che hanno tentato di spiegarne e giustificare il comportamento del vulcano.
Il dio Eolo, da cui le isole Eolie prendono il nome, si dicesse avesse qui la sua ‘dimora dei venti’.
Secondo il poeta Eschilo, era il gigante Tifone, che ivi vi risiedeva, il motivo delle molteplici eruzioni del vulcano; un’altra leggenda greca narra che invece, imprigionato nelle sue cavità, potesse esserci il gigante Encelado, una storia di cui parla anche Virgilio. Encelado venne sepolto da Atena sotto un enorme cumulo di terra, dopo essersi ribellato agli dei; sdraiatosi sotto quella che è l’Isola, la sua bocca dovrebbe rappresentare l’Etna.

Ma per i Romani, le ragioni ditale sconquasso fanno il paio con quella greca del dio Efesto. Si dice che Efesto, o Vulcano, avesse infatti la sua fucina proprio sotto l’Etna, che serviva a produrre le saette usate da Zeus e le varie armi degli dei. Altri fecero invece coincidere l’Etna con il ‘mondo dei morti’ greco, il Tartaro. Si racconta che Empedocle, importante filosofo presocratico del V secolo a.C., si gettò nel suo cratere per scoprire il segreto della sua attività eruttiva; si dice che il suo corpo sarebbe stato in seguito ritrovato al largo della costa siciliana, anche se risulterebbe morto in Grecia.

Ma il mondo greco e romano non furono gli unici a prendere spunto dalla spettacolare quanto pericolosa attività eruttiva dell’Etna. Per gli inglesi infatti, Re Artù risiederebbe in un castello sull’Etna, che ha il suo ingresso nelle tante e misteriose grotte che ne costellano le pendici. Secondo un’altra leggenda inglese, l’anima della regina Elisabetta I d’Inghilterra risiederebbe qui, come conseguenza di un patto che ella fece col Diavolo, in cambio dell’aiuto per governare il Regno.

L’Etna si è formato nel corso dei millenni con un processo di costruzione e distruzione iniziato intorno a 570.000 anni fa. Al suo posto si ritiene vi fosse un ampio golfo, nel punto di contatto corrispondente alla catena dei monti Peloritani a Settentrione e all’altopiano Ibleo a Meridione. Fu proprio il colossale attrito tra le due zolle a dare origine alle prime eruzioni sottomarine e quindi ai primi coni vulcanici. Oggi, di queste antiche attività restano gli splendidi affioramenti della “Riviera dei Ciclopi” con i suoi scogli basaltici, le brecce vulcaniche vetrose e le lave a pillow che caratterizzano la rupe di Aci Castello, ma anche i colonnari presenti nel terrazzo fluviale del Simeto, fino alla costa Ionica.

Ad una fase successiva, compresa tra i 350.000 ed i 200.000 anni fa, appartengono le cosiddette vulcaniti tholeiitiche basali, cioè magmi simili a quelli che vengono prodotti in alcune aree del mantello terrestre, e la formazione del Neck di Motta, una rupe isolata di lave colonnari su cui è sorto il centro storico di Motta Sant’Anastasia.
Si ritiene che tra 200.000 e 110.000 anni fa, ci fu uno spostamento degli assi eruttivi verso Nord e Ovest con un completo mutamento nell’attività di risalita e nella composizione chimica dei magmi, che oggi costituiscono il grosso dell’attività etnea; in prossimità della costa ionica, sorge un sistema di faglie dirette denominato delle Timpe, e i prodotti alcalini che ne derivano.

Durante il Tarantiano, l’attività eruttiva si sposta dalla zona Val Calanna-Moscarello. Qui si passerà gradualmente ad un’attività di tipo centrale, caratterizzata da eruzioni effusive ed esplosive. Questo tipo di attività porterà alla formazione di diversi centri eruttivi, il cui principale è Monte Calanna, oggi inglobato al di sotto del vulcano. Circa ottantamila anni fa entrò in attività un nuovo complesso, detto Trifoglietto; un vulcano di tipo esplosivo caratterizzato da eruzioni simili a quelle del Vesuvio e di Vulcano delle isole Eolie. L’attività vulcanica si spostò poi ancor più ad ovest, a Trifoglietto II (dai 70 ai 55.000 anni fa): il suo collasso ha dato origine all’immensa caldera della Valle del Bove, profonda circa mille metri e larga cinque chilometri.

Intorno a 55.000 anni fa, si verifica un’ulteriore spostamento verso nord-ovest: è la fase detta dello stratovulcano, che porterà alla formazione del più grosso centro eruttivo: il ‘Vulcano Ellittico’, che probabilmente doveva raggiungere i 4.000 metri d’altezza. Le eruzioni laterali dell’Ellittico hanno prodotto la graduale espansione dell’edificio vulcanico, che hanno causato un radicale cambiamento dell’assetto idrografico del settore nord e nord-orientale. L’intensa e continua attività dell’Ellittico, all’interno dell’arco degli ultimi 15.000, anni riempirà del tutto la caldera, arrivando alla formazione dell’edificio vulcanico che forma il Mongibello.

Nel corso del tempo si sono avute fasi di stanca e fasi di attività, che portarono infine al collasso del Mongibello, intorno agli ottomila anni fa; le lave sono quindi tornate ad essere di tipo fluido basaltico, e si sono formati altri coni, alcuni in epoca recente. Il vulcano attuale è costituito essenzialmente da 4 crateri sommitali attivi: il cratere centrale o Voragine, il cratere subterminale di Nord-est (formatosi nel 1911), la Bocca Nuova (del 1968) e il cratere subterminale di Sud-est (del 1971), SEC.
Alla fine del 2011, alla base del SEC si è sviluppato quello che gli studiosi hanno ribattezzato come Nuovo Cratere di Sud-Est (NSEC), la quinta bocca dell’Etna. L’Etna presenta inoltre diverse piccole bocche laterali collocate a varie altitudini, che costituiscono i prodotti delle diverse eruzioni laterali del tempo. Esistono poi centri eruttivi eccentrici caratterizzati dalla non condivisione del condotto con il vulcano principale, come i monti Rossi, in prossimità di Nicolosi e il monte Mojo, da cui si diceva in passato, fossero derivate le Grotte dell’Alcantara e il promontorio Schisò su cui i Greci costruirono Naxos, la loro prima colonia.

Si dice che quando l’Etna eruttò, nel 252, un anno dopo il martirio di Santa Agata, il popolo di Catania prese il velo della Santa, e lo portò in processione in segno di protezione. Il velo portò alla cessazione dell’attività eruttiva, che più volte risparmiò la città di Catania. Oggi custodito presso la Cattedrale, insieme ad altre reliquie della Santa, si dice che passò da bianco a rosso per il contatto con la lava; altri ancora sostengono che invece divenne rosso perché avvolse il corpo della Santa dopo il martirio con i carboni ardenti.
Molte le eruzioni, e i terremoti conseguenti che hanno caratterizzato non solo la conformazione geografica e idrogeologica (nonché botanica) del luogo, ma anche l’assetto urbano della Provincia in particolare. La prima, e più notevole, è quella del 1614; durò all’incirca 10 anni, e portò alla formazione della rinomata Grotta del Gelo, una cavità dove la temperatura non va mai al di sopra dello zero, nemmeno d’estate.

Nel 1669 avvenne una delle eruzioni più conosciute e distruttive, che distrusse la parte esterna della città di Catania, circondando Castello Ursino e travolgendo o danneggiando gravemente, con un terremoto, i comuni di Nicolosi, Trecastagni, Pedara, Mascalucia e Gravina. Successivamente, a Nicolosi si aprì una faglia nella crosta la cui lava seppellì i paesi di Malpasso, Mompilieri, Camporotondo, San Pietro Clarenza, San Giovanni Galermo e Misterbianco; dall’eruzione epica, della durata di 121 giorni, si formarono i due coni che hanno generato i Monti Rossi, a Nord di Nicolosi.
Una curiosità: l’Etna ha ispirato diverse opere letterarie dell’Antichità, tra cui la tragedia di Eschilo, intitolata “Le Etnee”, a noi non pervenuta, e il dramma satiresco “Il ciclope” di Euripide. Diversi anche i componimenti poetici come “Aetna” compresa all’interno dell’Appendix Vergiliana, e “Fábula de Polifemo y Galatea”, opera scritta nel 1616 da Luis de Góngora,”A’ piè dell’Etna” di Alfio Belluso e “All’Etna”, poesia religiosa del 1895 di Mario Rapisardi.

Autore | Enrica Bartalotta

Foto di Massimiliano Marchese

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