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L’Ariete del Museo Salinas è una delle rare grandi sculture in bronzo dell’antichità, raffiguranti animali, che si siano conservate fino ai nostri giorni. Le vicende legate all’opera sono estremamente complicate e oscura resta la sua prima destinazione.

Le fonti più antiche, che risalgono al 1500, ci attestano l’esistenza di una originaria coppia di arieti. Queste testimonianze storiche e quelle subito successive ci informano che le statue erano poste su due mensole, tuttora esistenti, ai lati del portale del Castello costruito ad Ortigia da Federico II di Svevia, il cosiddetto Castello Maniace dal nome del protospatario bizantino che nel 1038 liberò Siracusa dal dominio arabo.

Nel 1448 i due arieti vennero regalati dal re Alfonso V di Aragona al duca di Geraci, come ricompensa per aver soffocato la rivolta siracusana. Il duca li portò nel suo Castello di Ventimiglia a Castelbuono, in provincia di Palermo. Vennero successivamente confiscati, incamerati nell’erario regio e quindi trasportati a Palermo, prima a Palazzo Steri, poi al Castello a Mare, dove li vide il Fazello. Nel 1735, al tempo di Carlo III, furono portati a Napoli, ma, subito dopo, vennero trasferiti nuovamente a Palermo, all’interno del Palazzo Reale. Qui la loro presenza è testimoniata da Houel che li raffigurò in un disegno del suo “Voyage pittoresque…” e da Goethe che li descrive in una sua lettera. Dallo storico M. Amari sappiamo che nel corso dei moti insurrezionali del 1848 una delle due sculture fu colpita da una cannonata. La statua superstite fu danneggiata e in seguito restaurata. Nel 1866, per volere del re Vittorio Emanuele II, essa fu donata al “Real Museo Archeologico” di Palermo, dove si trova da allora.

L’animale è raffigurato accovacciato. La testa è ruotata completamente a sinistra, con i grandi occhi spalancati. Le narici dilatate e le orecchie tese sopra le corna a spirale. Nella bocca semiaperta si vedono i denti dell’arcata inferiore. La fronte e la porzione sottostante alle corna sono ricoperte da fitti riccioli. La zampa posteriore destra dell’ariete non è visibile; delle due anteriori, la destra è ripiegata su se stessa, la sinistra è portata in avanti, con lo zoccolo ben aderente alla base. Sullo zoccolo anteriore sinistro, a seguito della pulitura effettuata nel corso del recente restauro, sono risultati chiaramente visibili alcuni segni incisi e cioè una lettera D tagliata a metà, seguita da due stanghette verticali, che possono essere interpretati come un numerale. La D tagliata a metà da un tratto orizzontale è usata frequentemente in età imperiale romana per indicare 500.

La nostra statua appare piuttosto isolata nel panorama artistico del mondo greco-romano. Rare sono infatti le rappresentazioni di singoli animali di così grandi dimensioni; rarissime poi quelle in bronzo che si sono conservate. Mancano quindi i confronti con statue analoghe, mentre sono numerose le raffigurazioni di ariete nella piccola plastica in terracotta o in bronzo, raramente però in posizione accovacciata.

L’opera è stata eseguita con il metodo della fusione a cera persa, effettuata in parti separate poi saldate al corpo. Per i caratteri stilistici l’ariete è stato datato tra gli inizi e la metà del III secolo a.C. ma recentemente si è proposta una datazione più bassa al II sec. d.C.

ƒoto di Lorenzo De Masi –> http://www.lorenzodemasi.it/galleria/scultura-2/