“Màkari” è molto più di una semplice serie tv. È una dichiarazione d’amore alla Sicilia, ai suoi paesaggi, ai suoi sapori, alle sue storie. La testata statunitense New York Times ha dedicato un approfondimento a questo prodotto televisivo tutto italiano, adesso disponibile oltreoceano su diverse piattaforme (la prima stagione su Amazon Prime Video, MHz Choice e Roku Channel, mentre le stagioni successive sono esclusive della piattaforma MHz Choice).
In particolare, il NYT ha sottolineato come la serie ambientata nell’isola rappresenti una delle punte di diamante del genere “giallo leggero“. Il riconoscimento da parte di un media di tale caratura internazionale può considerarsi come un segnale forte della centralità culturale e visiva che la Sicilia sta guadagnando nel panorama internazionale.
Paesaggi, misteri e pasta, l’alchimia perfetta
Basata sui romanzi di Gaetano Savatteri, “Màkari” porta sullo schermo non solo una narrazione investigativa, ma un intero immaginario mediterraneo.
Protagonista della storia è Saverio Lamanna, interpretato da Claudio Gioè, ex funzionario statale che abbandona Roma per ritirarsi nella sua terra d’origine e tentare la carriera da scrittore. Ma i suoi propositi contemplativi si infrangono contro una valanga di omicidi, segreti e chiacchiericci di paese. Ad accompagnarlo, l’inarrestabile Peppe Piccionello (Domenico Centamore), confidente, complice e guru di saggezza popolare, tra un consiglio filosofico e una lezione sulla salsa perfetta.
Eredità che parla siciliano
Il New York Times sottolinea come “Màkari” sia figlia di una tradizione televisiva ben radicata, quella che ha reso celebre anche “Il commissario Montalbano”. Alcuni autori sono infatti gli stessi, e la parentela si riflette nella scelta di valorizzare ambientazioni autentiche, caratteri locali, ritmi narrativi lenti ma ricchi di sfumature. Il protagonista non è un detective in senso stretto, ma agisce come tale, immerso in un contesto sociale dove ogni indagine è anche esplorazione culturale.
La serie rinuncia alla tensione artificiosa dei procedurali anglosassoni per abbracciare un’estetica del quotidiano, dove ogni tavola apparecchiata, ogni pietra assolata e ogni battuta dei personaggi racconta qualcosa di più profondo. Una sorta di “giallo balneare”, come suggerisce il New York Times, che non ignora la morte, ma la sublima nella bellezza della vita che le scorre intorno.
Sicilia protagonista in assoluto
Se il genere “cozy mystery” (un sottogenere del giallo che si distingue per la sua atmosfera leggera e amichevole, nonostante la presenza di un omicidio o un mistero da risolvere) trova in “Màkari” una declinazione meridionale originale, è grazie anche all’ambientazione siciliana che diventa elemento narrativo primario. Mare, sole, borghi, cucina: tutto parla dell’isola, tutto contribuisce a una rappresentazione identitaria forte, riconoscibile e seducente.
Ogni episodio è un tributo al territorio, e non è un caso che il New York Times paragoni la serie a “Death in Paradise“, spostando però la bussola sul Mediterraneo. Un’immagine potente, capace di attrarre un pubblico internazionale in cerca di esperienze narrative “sensoriali”, in cui il fascino della destinazione è parte integrante della trama.
Il successo che fa bene all’Italia
Il fatto che un gigante dell’informazione come il New York Times scelga di raccontare “Màkari” ha un valore che va oltre il giudizio estetico. Significa riconoscere la qualità della produzione italiana, la forza della narrazione regionale e la capacità di creare storie che viaggiano oltre i confini linguistici. È un’occasione di riscatto culturale, ma anche un’opportunità economica e turistica.
La serie non solo intrattiene, ma promuove un’immagine avvincente e articolata della Sicilia, allontanando stereotipi e offrendo nuovi immaginari. “Màkari” dimostra che il Sud può raccontarsi con orgoglio, eleganza e profondità.