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Il Memoriale di Portella della Ginestra, nel territorio di Piana degli Albanesi (Palermo), diventerà un sito di interesse culturale. A darne comunicazione è la Regione Siciliana: “È un monumento che negli anni si è trasformato in uno spazio pubblico, patrimonio di una comunità che oltrepassa i confini del territorio, in cui ogni anno viene rinnovato l’impegno a manifestare per i diritti”.

Portella della Ginestra, il riconoscimento

La Soprintendenza per i Beni culturali e ambientali di Palermo, su mandato dell’assessore regionale ai Beni culturali e all’identità siciliana, ha avviato l’iter per la dichiarazione di interesse culturale del Memoriale di Portella della Ginestra. La procedura dovrà essere conclusa entro 90 giorni. Si è deciso di avviarla, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio “sia per il suo riferimento con la storia, sia quale testimonianza unica dell’identità e della storia delle istituzioni collettive”.

Realizzato tra il 1979 e il 1980 da Ettore de Conciliis (Avellino, 1941) con la collaborazione del pittore Rocco Falciano (Potenza, 1933) e dell’architetto Giorgio Stockel (Milano, 1938), il Memoriale è un’opera di impegno civile riconosciuta come primo intervento di “land art” in Italia, costituendo un segno importante del paesaggio e il simbolo della memoria della prima strage mafiosa in Sicilia nel secondo dopoguerra.

La storia e la strage del primo maggio

L’opera è realizzata nel pianoro sassoso, tra il monte Pizzuto e la sottostante strada provinciale per San Giuseppe Jato, dove si verificò l’eccidio. In occasione del primo maggio 1947 vi si erano riuniti circa duemila lavoratori, in prevalenza contadini e braccianti con le loro famiglie, per celebrare la festa dei lavoratori, manifestare contro il latifondismo e in favore dell’occupazione delle terre incolte, come facevano sin dai tempi dei Fasci siciliani. Dal promontorio sovrastante, Salvatore Giuliano e i suoi uomini aprirono il fuoco causando la morte di undici persone (otto adulti e tre bambini) e il ferimento di altre ventisette.

Negli anni il monumento si è trasformato in uno spazio pubblico, patrimonio di una comunità che oltrepassa i confini del territorio, in cui ogni anno viene rinnovato l’impegno a manifestare per i diritti. Alcuni grandi massi che ricordano dei menhir, posti attorno al “sasso di Barbato“, dal nome del socialista italo-albanese Nicola Barbato fondatore e dirigente dei Fasci siciliani dei lavoratori, simboleggiano i corpi dei caduti.

Un muro a secco taglia trasversalmente lo spazio, riproducendo la traiettoria degli spari. Su uno dei massi sono incisi i nomi delle vittime. Per la Soprintendenza l’opera presenta carattere di unicità e si distingue per l’approccio emotivo e una progettualità che rimarca la solennità sacrale del luogo in cui si consumò la violenza. Il valore identitario dell’installazione è esaltato anche dalla scelta dell’artista di coinvolgere tutta la comunità, a partire dalla progettazione e poi con la realizzazione, avvalendosi della collaborazione delle maestranze locali per la composizione degli elementi e la lavorazione dei materiali, volutamente selezionati in aderenza alle caratteristiche del luogo.