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Maestoso e imponente, con la sua inconfondibile forma, Monte Pellegrino è uno dei simboli della città di Palermo. Si vede dal mare di Mondello, dalla passeggiata del Foro Italico e da diversi punti della città e domina il paesaggio. È un luogo molto caro ai palermitani, perché strettamente legato a Santa Rosalia, patrona della città.

Come racconta Giuseppe Pitrè, nel 1624, mentre la peste nera mieteva vittime, un cacciatore ritrovò casualmente le ossa della Santa nella grotta di Monte Pellegrino in cui lei era spirata.  L’Arcivescovo di Palermo, il cardinale Doria insieme col Senato e coi notabili della città, salito al monte raccolse le sante reliquie che furono portate in processione la prima volta il 5 giugno 1625. Al lor passaggio,  l’epidemia s’attenuò e i palermitani elessero ‘a Santuzza come compatrona della città, insieme a San Benedetto il Moro.

Monte Pellegrino, in epoca antica, era conosciuto come Heirkte. Dagli Arabi, invece, era chiamato Bel Grin o Gebel Grin, cioè “monte vicino”. Non è un semplice promontorio, ma un vero e proprio massiccio montuoso, caratterizzato da fianchi ripidi ricchi di grotte, e da una orografia estremamente movimentata, ricca di pianori praticabili. Il massiccio montuoso visto dall’alto presenta forma allungata, i due lati maggiori guardano l’uno il mare, l’altro la piana verso l’interno. Il lato corto che guarda ad est è quello verso Palermo.

Il belvedere offre una vista molto suggestiva.

La storia di Monte Pellegrino

Il Monte Pellegrino fu menzionato da Polibio come Ercte o Eircte perché durante la prima guerra punica nel 247 a.C. Amilcare Barca vi pose l’accampamento tenendo testa ai Romani che occupavano Panormus per tre anni.

Nel corso del Settecento le pendici del Monte erano diventate ad occidente confine di ville suburbane e tenute di caccia, ad oriente erano state colonizzate da borgate, tonnare e ville. La parte superiore del monte appariva più brulla in contrasto con la passeggiata elegante del lungomare.

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Alla fine dell’Ottocento la nuova classe dominante, la borghesia urbana, sedotta dall’esempio delle grandi città del continente cerca di adeguare l’immagine del promontorio all’immagine che ha di sé avviando campagne di rimboschimento che però cercavano di ricreare un ambiente totalmente diverso da quello più consono della macchia mediterranea.

Si comincia a cercare di sfruttare il monte a fini utili, nei progetti dell’architetto comunale Damiani Almeyda e quelli privati si propone la creazione di una stazione climatica d’élite per villeggianti stabili e ospiti stranieri alla ricerca della vicinanza del mare, del clima collinare, del belvedere e la vicinanza della città. Durante il mese di giugno del 2007 il monte ha subito un vasto incendio che ha incenerito decine di alberi. Un nuovo incendio, di natura dolosa, ha interessato il promontorio il 16 giugno 2016, minacciando il santuario e il castello Utveggio.

Il Santuario di Santa Rosalia

Il Santuario è stato fondato nel 1625. Una delle tanti lapidi ricorda la visita fatta al santuario da Goethe nel 1787.

Scrive al riguardo lo scrittore tedesco: «Giunti alla vetta del monte, dove questo forma come una nicchia nella roccia, ci troviamo di fronte ad una parete a picco alla quale la chiesa ed il convento sembrano appesi. L’esterno della chiesa non ha nulla di attraente; si apre la porta con indifferenza, ma già all’entrata si rimane colpiti dalla più grande meraviglia. Ci troviamo in un atrio, che continua per tutta la lunghezza della chiesa, e s’apre in direzione della navata. Vediamo le solite pile con l’acqua benedetta e qua e là dei confessionali. La navata è un cortile aperto, racchiuso a destra da rocce nude, a sinistra da una continuazione dell’atrio. È lastricata di pietra e un po’ inclinata per agevolare lo scolo dell’acqua piovana; una fontanina scorre pressappoco nel centro».

Dalle pareti della grotta dove la santa pregava, sgorga acqua ritenuta miracolosa che viene raccolta da doccioni; scrive ancora Goethe: «La grotta per sé è rimasta intatta; ma poiché la grotta gocciola continuamente, occorreva mantenere il luogo asciutto. E ciò si è ottenuto mediante canali di piombo infissi alle pareti della roccia e variamente comunicanti tra loro. […] L’acqua viene condotta in parte dai lati, in parte dal fondo della grotta in un limpido serbatoio al quale i devoti attingono per guarire da tutti i mali».

L’illustre viaggiatore si sofferma anche sulla statua della santa realizzata nel Seicento dallo scultore fiorentino Gregorio Tedesco: «Una bella giovinetta mi apparve allora, al chiarore di alcune lampade tranquille. Sembrava come rapita in estasi, con gli occhi a metà velati, il capo mollemente abbandonato sulla mano destra, carica di anelli. Non potevo saziarmi di contemplarla, come se avesse avuto un fascino del tutto singolare. La veste di stagnola dorata imitava alla perfezione una stoffa intessuta d’oro. La testa e le mani di marmo bianco, erano, non dirò molto elegantemente stilizzate, ma tuttavia così naturali, così seducenti, da far credere che ella respirasse e si movesse».

Non distante dal Santuario, si trova una grande statua in bronzo, opera dello scultore Benedetto De Lisi, raffigurante Santa Rosalia intenta a scrutare l’orizzonte. Tale statua è stata collocata lì negli anni Sessanta, al posto di un più antico monumento seicentesco (sempre dedicato alla “Santuzza”), che qualche anno prima era stato gravemente danneggiato da un fulmine.

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