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Angela Marino ci parla di una delle vecchie usanze siciliane: il corredo.

L’altro giorno, rovistando nel cassetto di una scrivania, ho trovato una busta piena di antichi documenti notarili: atti di vendita, contratti, divisioni…ma tra tutti mi ha colpito un “ATTO DOTALE” in cui , alla presenza del notaio, i signori X e Y , genitori della “signorina Concettina, donna di casa” stabilivano la dote della figliuola in occasione del suo matrimonio col “sig.Calogero , detto Lillo,fabbro ferraio”. Dopo l’elenco dei beni immobili e mobili regalati alla coppia, i signori X e Y dichiaravano anche di dare alla figlia “un corredo da 12, composto da biancheria per la casa e personale e da due pezze di Tela Candida di Monza”.

Come in un film, la parola “corredo” mi ha riportato indietro nel tempo, addirittura in un tempo che non mi era appartenuto, ma che avevo conosciuto attraverso i racconti e i discorsi ascoltati nella mia infanzia. Il CORREDO… il corredo nel mio paese e forse nella maggior parte degli altri paesi siciliani , era una cosa fondamentale per una ragazza: la gente era triste quando nasceva una figlia femmina perché pensava a quanto le sarebbero costati la dote ed il corredo.

Ricordo un’osservazione udita nella mia infanzia riguardo a qualche ragazza piuttosto povera: “È sapurita, ma unn’avi li cosi di dintra = è carina ma non ha le cose di dentro”. Il che non significava che la ragazza in oggetto avesse qualche problema agli organi vitali interni, ma semplicemente che non aveva il corredo. Il corredo, specie per le ragazze che non continuavano gli studi dopo le elementari (la quasi totalità), era una cosa fondamentale: verso i 6/7 anni, se non prima, alle bambine veniva regalato un “tulareddru” = un piccolo telaio da ricamo, perché, giocando, imparassero a ricamare.

Finita la scuola elementare, le mamme compravano alle loro ragazze stoffa (lino o tela candida di Monza) e materiale da ricamo e insegnavano loro a prepararsi un bel corredo: questo sarebbe stato il loro lmpegno principale fino a quando ( generalmente molto presto) non fosse arrivato ”un buon partito” che le avesse portate all’altare.
Venivano ricamate e confezionate, lenzuola, servizi da tavola, asciugamani, biancheria personale, tende, copriletti ecc. Le persone più abbienti approntavano un corredo da 12 ( 12 esemplari di ogni capo), gli altri si accontentavano di corredi da 6 o anche meno.

Appena terminati, i vari capi non venivano né lavati né stirati, ma erano conservati allo stato naturale in una cassapanca o in un baule che per anni sarebbe stato aperto solo per aggiungervi altra roba… se la ragazza fosse rimasta zitella sarebbero rimasti là per tutta la sua vita.

Quando invece si presentava il “buon partito” e c’era un “fidanzamento ufficiale”, la mamma ospitava a pranzo i consuoceri e , dopo il caffè, invitava le donne a “dare un’occhiatina al corredo, chissà mancava qualcosa…”. Così la cassapanca veniva aperta mettendo alla luce tutti quei tesori , ingialliti dal tempo, che venivano esaminati ad uno ad uno tra esclamazioni di meraviglia e di compiacimento.

Poche settimane prima delle nozze, c’era la cerimonia più importante: “la lavata “ del corredo. La padrona di casa approntava nel pianterreno (talvolta anche sulla strada, davanti alla porta , delle “pile”( tinozze di legno dotate di un asse scanalato per fare il bucato), invitava amici e parenti (soprattutto le ragazze), e tutti insieme procedevano a lavare il corredo. Spesso le macchie gialle provocate dal tempo non andavano via al primo tentativo, allora i capi venivano candeggiati “a lu suli e a lu sirenu”, cioè venivano stesi senza risciacquo su dei fili e lasciati per almeno 24 ore esposti all’azione del sole e dell’umidità notturna fino a che non diventavano candidi.

A questo punto venivano sciacquate e stese su delle “cordine” approntate sulla strada parallelamente al muro della casa o , se si avevano dei balconi , tra un balcone e l’altro attraverso la stradina.Le lavandaie improvvisate lavoravano tutto il giorno e, al tramonto, vuotavano le pile sul selciato della strada creando un vero e proprio torrentello di acqua saponata al centro della strada, e si mettevano al fresco, davanti alla porta di casa.

Al rientro dal lavoro, gli uomini si sedevano anche loro davanti alla casa e suonavano la chitarra, la fisarmonica e il “ngangalarruni”= scacciapensieri, tutti ballavano e la padrona di casa offriva rosolio fatto in casa e “ciciri e favi caliati” = ceci e fave tostate. Spesso in queste occasioni nascevano nuove simpatie e si buttavano le basi per futuri fidanzamenti.Più in là, nel dopoguerra, gli strumenti tradizionali vennero soppiantati dal radiogrammofono e I futuri sposi e i loro amici ballarono sulla musica martellante di Lilì Marlen e Angelina…

La notte le ragazze che abitavano lontano restavano a dormire nella casa della futura sposa , tutte insieme , su materassi buttati per terra e ovviamente passavano la notte a ridere, spettegolare e raccontare barzellette spesso ingenuamente osé…una specie di Pigiama Party d’altri tempi.Quando finalmente il corredo era asciutto e stirato, la padrona di casa lo esponeva nella stanza più rappresentativa della casa , tutti andavano ad ammirarlo e spesso approfittavano della visita per portare il regalo di nozze.

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