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Il Trionfo della Morte di Palermo è un’opera tanto maestosa quanto avvolta dal mistero. Si tratta di un grande affresco, staccato dalla sua sede originale (il trecentesco Palazzo Sclafani) e collocato a Palazzo Abatellis, Galleria Regionale della Sicilia. Vedendola di persona, si rimane subito colpiti dalla ricercatezza dei particolari e dalla grandezza.

Si pensa sia stata di ispirazione per la realizzazione di Guernica di Pablo Picasso.

I misteri del Trionfo della Morte

Il primo mistero legato al Trionfo della Morte riguarda l’autore. È stata datata 1446, pochi anni dopo il passaggio di Palazzo Sclafani a sede dell’Ospedale Grande e Nuovo. Questo fu affidato al patronato della città e retto da quattro cittadini palermitani. Grazie a lasciti ed eredità, l’istituzione potè ampliare il suo patrimonio e a questo periodo risale la committenza dell’affresco, che si trovava nel cortile del grande palazzo dell’Ospedale (che confluirà poi nell’Ospedale Civico e Benfratelli).

Non vi sono documenti attestanti la commissione, ma vi è un ritratto dell’autore. Si trova, infatti, insieme a un collaboratore nel quadro. Nonostante ciò, pur conoscendone il viso, non sappiamo chi fosse.

Un altro mistero riguarda il titolo: Trionfo della Morte. Si tratta di un’attribuzione dei critici, poiché il tema fu abbastanza in auge per molti secoli. A partire dal Trecento, quando malattie e peste incombevano sulla popolazione, si diffuse un senso di impotenza, unito a un richiamo al Giudizio Universale.

Il Trionfo della Morte di Palermo si configura come una gigantesca pagina miniata. In un lussureggiante giardino irrompe la morte su un cavallo scheletrito. Lancia frecce letali che colpiscono senza distinzione di fasce sociali. Il centro della scena è occupato dal cavallo, che mostra denti e lingua.

La Morte è raffigurata nell’atto di scoccare una freccia che colpisce un giovane nell’angolo destro, in basso.

I corpi delle persone uccise giacciono a terra. Ci sono imperatori, papi, vescovi, frati, poeti, cavalieri e damigelle. Ognuno ha una posizione diversa, ciascuno è rappresentato individualmente. A sinistra c’è la povera gente che invoca la morte per alleviare le sue sofferenze, ma viene ignorata. Tra loro c’è l’autoritratto dell’autore.

Gli aristocratici, a destra, appaiono disinteressati, ad eccezione di coloro che sono più vicini ai cadaveri. Ci sono musici, dame riccamente abbigliate e cavalieri vestiti di pellicce, come quelli che chiacchierano amabilmente ai bordi della fontana, simbolo di vita e di giovinezza.

Qui e più in alto, a sinistra, si trovano due richiami a uno degli svaghi più amati dall’aristocrazia, la caccia, con un uomo che tiene un falcone sul braccio e un altro che regge al guinzaglio due cani da caccia trepidanti, tra i quali il levriero disegna una linea sinuosa col corpo sull’attenti.

Nonostante la ricchezza e la complessità del soggetto, la scena è composta in maniera unitaria, grazie a un’efficace stilizzazione lineare e alle pennellate corpose che riescono a trasmettere la consistenza materica del colore.

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