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Fascino e leggenda al Castello di Carini.

  • A due passi da Palermo, la cittadina costiera di Carini ospita un antico maniero ricco di fascino.
  • Ad alimentare la bellezza dei luoghi è stata la leggenda della Baronessa di Carini, una storia di tradimento e vendetta.
  • Visitiamo insieme questo castello medievale e scopriamone i segreti.

Non si finisce mai di scoprire i castelli della Sicilia. Antiche fortezze e palazzi prestigiosi, torri e baluardi del passato che, ancora oggi, ci svelano i fasti di ciò che è stato. Se quelle mura potessero parlare, chissà quante cose ci racconterebbero. Oggi facciamo tappa nel Palermitano, per conoscere in modo più approfondito il Castello di Carini (Castello La Grua-Talamanca). Se il nome non vi è nuovo, è perfettamente normale: proprio qui, infatti, si sono consumate le vicende della celebre leggenda della Baronessa di Carini, uno sfortunato racconto di onore e vendetta. Scopriamo meglio la storia dell’edificio, perché ci aiuterà a capire cosa lo rende ancora così famoso.

Un po’ di storia

Il Castello sorse per volere del primo feudatario normanno Rodolfo Bonello, guerriero al seguito del conte Ruggero I di Sicilia. Nel 1283 divenne di proprietà della famiglia Abate, che trasformò la struttura difensiva per farne un uso residenziale. Quando però gli Abate si schierarono con i Chiaramonte nella disputa per il possesso della corona, furono dichiarati “felloni” e privati di tutti i beni. Nel 1397 il re Martino I, nuovo re di Sicilia, affidò la Terra di Carini al “milès panormitano” Ubertino La Grua per i servizi resigli. Ubertino non ebbe figli maschi. Nel 1402, con il privilegio di Martino il Giovane, fece sposare la sua unica figlia, Ilaria, con il catalano Gilberto Talamanca: nacque così la casata La Grua-Talamanca. Questa casata rimarrà in possesso della baronia di Carini fino al 1812. Il barone Giovan Vincenzo La Grua Talamanca, dalla metà del XV secolo, modificherà ulteriormente il Castello di Carini, facendolo passare da caserma a “palazzo” per la residenza estiva.

La leggenda del Castello di Carini

Il maniero è noto in quanto teatro di una tragica vicenda. Nel dicembre del 1563 Laura Lanza di Trabia, baronessa di Carini e moglie di don Vincenzo La Grua-Talamanca, venne uccisa dal padre per motivi di onore insieme al presunto amante Ludovico Vernagallo. Leggenda narra che, in occasione dell’anniversario del delitto, comparirebbe su un muro della stanza dove venne uccisa Laura, l’impronta della sua mano insanguinata. Il barone Vincenzo La Grua ebbe altre due mogli: donna Ninfa, figlia di don Alfonso Ruiz de Alarcòn, e donna Paola Sabia Ventimiglia. Le sposò a distanza di circa un anno l’una dall’altra (la data del matrimonio con dona Ninfa non è certa, ma è sicuro che morì fra i 6 mesi e un anno dallo stesso sposalizio).

L’architettura del Castello

Dal punto di vista architettonico, le mura medievali risalgono all’XI e XII secolo. Nella seconda porta del maniero ci sono elementi arabo-normanni: qui l’arcata a sesto acuto ne prolunga lo slancio. In alto vi è l’arma della famiglia Abbate. I portali sono sormontati da alcuni scudi che rappresentano una gru, allusiva della casata La Grua; altri mostrano tre zolle di terra, probabilmente simbolo dei Chiaramonte. In quello del piano superiore si trova lo stemma dei Lanza-La Grua, caratterizzato da due leoni rampanti. Al piano terreno vi è una stanza con volta a crociera che originariamente era un muro esterno. Un altro vano, privo del pavimento, mostra le fondazioni di strutture precedenti. Un grande salone è diviso da due arcate a sesto acuto con colonna centrale. Nel lato est del castello, invece, si possono vedere: un lavatoio in pietra di Billiemi; una cappella affrescata a trompe-l’œil, una statua in marmo raffigurante la Madonna di Trapani.

La cappella gentilizia e il piano superiore

Nella cappella c’è un pregevole tabernacolo ligneo del primo decennio del Seicento, con colonnine corinzie che scandiscono prospettivamente lo spazio. Un matroneo in legno permetteva la vista dal piano superiore. Al piano superiore, all’ingresso di quella che era l’ala quattrocentesca del castello, c’è un portale marmoreo. Qui, tra due fenici rinascenti dalle fiamme, è scritto Et nova sint omnia (“e tutto sia rinnovato”). Questa è la continuazione di un’altra dicitura presente su un secondo portale marmoreo: Recedant Vetera (“sia cancellato il passato”).

Salone delle Feste e altre stanze del Castello di Carini

Il salone delle feste del piano nobiliare è un classico esempio di ambiente quattrocentesco. Ha un soffitto ligneo a cassettoni, un camino impreziosito dallo stemma dei la Grua ed ampie finestre. Il soffitto conserva una parte originale dove è visibile una scritta in latino: In Medio Consistit Virtus, “la virtù sta nel mezzo“. Dalla porta laterale sinistra della sala si entra nella stanza cara alla baronessa di Carini, dove, si narra, avvenissero i suoi presunti incontri con Ludovico Vernagallo. Il soffitto ligneo del salone è cassettonato con elementi stalattitici tutti decorati con stemmi nobiliari, salmi dedicati alla Madonna e didascalie allegoriche. Interessanti sono anche le stanze affrescate, come quella in cui si trova la pittura murale ritraente Penelope ed Ulisse. Una scaletta conduce alle cucine. Un vano, infine, merita attenzione perché si caratterizza per le vele e i pennacchi terminanti in pietra di Billiemi di stile gotico-catalano.

Foto: Giuseppa Di Bella – Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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